E’ questo il titolo di un articolo apparso sulla Gazzetta d’Alba del 4 dicembre scorso, che di seguito riportiamo e che riassume il convegno del 27 novembre scorso a cui ha partecipato anche la nostra cooperativa. Un momento senz’altro di conoscenza di varie realtà albesi che, come noi, operano a vario titolo (sia volontario che professionale) a contatto con le problematiche dell’abitare e con le persone residenti nelle varie strutture.
Come contrastare la paralisi del terzo settore? Come fronteggiare l’inadeguatezza del piano welfare? Per rispondere, cinque associazioni e cooperative albesi hanno scelto di confrontarsi: si sono proposte di mantenere nel tempo una rete collaborativa per continuare ad aiutare chi è in difficoltà. I progetti Emmaus, Alice, Il campo, Migrantes e Abrate, insieme ai medici dell’Azienda sanitaria locale di Alba e Bra, hanno dato vita all’incontro “I colori dell’abitare, non solo case, ma case che curano”.
Martedì scorso, nel corso della conferenza, i dieci relatori (rappresentanti delle associazioni e autorità) hanno discusso a proposito di «emergenza abitativa» e «reinserimento sociale». Hanno quindi evidenziato i risultati ottenuti dai gruppi, raccontando esperienze vissute.
«La situazione risulterebbe drammatica nella nostra città senza il lavoro di chi opera nel sociale», ha detto il sindaco Maurizio Marello nella sala dell’Asl. E ha aggiunto: «Nella ricca Alba per molto tempo non si è fatto fronte alle emergenze abitative: oggi esistono pochi stabili costruiti per le fasce deboli. Gli alloggi sfitti aumentano, così come le persone borderline senza dimora. L’Amministrazione s’impegnerà in futuro per collaborare con i gruppi del terzo settore». Alle parole di sostegno ha risposto Annamaria Foglino, membro dell’associazione “Il campo”: «Dobbiamo continuare a offrire un luogo di riposo per il “cuore ” dei più deboli ».
Agli interventi è seguita la descrizione di un metodo di reinserimento in società rivelatosi molto efficace nell’ultimo decennio: si tratta dei gruppi appartamento, ovvero il percorso di reintroduzione durante il quale gli assistiti convivono in un alloggio, in un normale condominio di città; gli operatori seguono il paziente, concedendogli libertà proporzionate alla condizione psicofisica: un’alternativa alle comunità e alle case di cura. «Solidarietà e tolleranza; condivisione, normalità: sono i principi che vigono negli appartamenti. La casa è un porto sicuro a cui tutti devono avere accesso. È la base della vita», secondo Patrizia Franco, psichiatra del Dipartimento di salute mentale dell’Asl.
Il progetto Emmaus, presente con Alberto Bianco, che si occupa di malattie psichiche e di disabilità, ha comunicato alcune statistiche: il 74 per cento degli inquilini ospitati nelle sei locazioni sono cittadini albesi; il 12 per cento torinesi e il 7 per cento astigiani. Più della metà dei pazienti (78 per cento) è in cura a causa di un trauma familiare. Per questo motivo la terapia dei genitori del paziente risulta tappa fondamentale per un reinserimento efficiente in società. Il 18 per cento delle persone in cura riescono a rientrare in modo pacifico nel contesto familiare. Ma il dato più significativo riguarda quel 22 per cento dei pazienti che, dopo il periodo di permanenza nella casa comune, ristabiliscono il proprio equilibrio psichico. Un risultato importante che testimonia l’efficacia della terapia.
Marco Viberti
Dalla Gazzetta d’Alba del 4 dicembre 2012