TREGUA, ASSEDIO
“Confrontarsi aiuta a stare nella difficoltà”, “Voglio usare questo momento per costruire il mio futuro”, “Mi accorgo che i sentimenti tra le persone non cambiano se siamo a distanza”. Sono alcune delle voci provenienti dai nostri gruppi appartamento negli ultimi mesi di collettiva difficoltà. Il lockdown lungo tre mesi ha prodotto stravolgimenti emotivi e relazionali, sociali e familiari. In un sociale poco pratico nel maneggiare la fragilità, il rischio è quello di sottrarre voce a chi già è svantaggiato e invisibile. Perciò lo sforzo di creare narrazioni e radunare testimonianze in questi mesi voleva funzionare da contrappeso alla forza di inerzia causata dell’isolamento, al silenzio imposto da un’emergenza sanitaria senza precedenti.
In generale la quarantena sembra aver svolto la duplice funzione di tregua oppure di assedio. Per alcuni il periodo ha costretto al ritorno a sé, al contatto con parti profonde altrimenti ignorate ed evitate. Perciò alcune famiglie hanno respirato, alcuni soggetti sintomatici sono migliorati, uomini e donne in difficoltà hanno potuto trovare tregua. Ma chi necessita di sostegno e cura per affrontare la quotidianità – come la disabilità o l’infanzia – rischia di non poter tramutare con altrettanta facilità la difficoltà in risorsa. E’ qui che la quarantena si può tramutare in assedio. L’individuo fragile rischia di venire de-soggettivato a livello sociale, sprofondando in ulteriore invisibilità.
PAROLA CHE SALVA
Uno strumento di soccorso in Cooperativa proviene proprio dal mondo della parola. La Comunità Emmaus ha raccolto le testimonianze di alcuni ospiti durante il periodo di quarantena, dando così voce all’invisibile. Spiega E., di 33 anni: “Nella vita ho sempre cercato di rialzarmi e andare avanti. Sono arrivato in comunità quando avevo trent’anni, un po’ per “obbligo” un po’ per mia volontà, e spero di aver presto la possibilità di costruire il mio futuro al di fuori di qui, facendo tesoro di tutto quello che ho vissuto in questo periodo”. E sulla quarantena e l’emergenza sanitaria: “E’ stato del tutto inaspettato questo momento. Mi spiace per le molte morti che ci sono state e che continuano ad esserci. Personalmente il periodo critico mi ha privato delle abitudini, degli affetti, degli svaghi e degli impegni. Dopo tre o quattro settimane dall’inizio della Fase 1 ho attraversato picchi di nervosismo, agitazione e ansia. Mancavano risposte, spiegazioni, qualcosa di certo”. L’ignoto può fare male. Eppure, prosegue E., “Fino ad oggi ho cercato di soffrire nel modo migliore possibile. Anche grazie agli operatori e al nostro gruppo di ospiti abbiamo patito un po’ meno quelle che potevano essere le conseguenze di questa chiusura. Non eravamo mai soli. Abbiamo cambiato un po’ le nostre abitudini, con armonia e flessibilità”.
LA MANCANZA DA INCONTRARE
Dai gruppi appartamento provengono voci ulteriori. Durante l’emergenza sanitaria, grazie all’area clinica di cooperativa, sono stati organizzati incontri di gruppo a distanza per gli ospiti, per garantire anche a loro uno spazio di ascolto e confronto nel periodo che si stava attraversando. Sono stati momenti ricchi e pieni di bellezza, vissuti attraverso uno schermo del pc o del cellulare ma insieme in una sala da pranzo, in un salone o nella propria stanza. Anche qui la sofferenza scaturita dalla mancanza è la prima reazione degli ospiti: “E’ come essere in prigione”, “ho paura”, “mi viene da piangere”, “sento la mancanza di un pallone e degli amici”, dicono. Ma questa sensazione si tramuta in germogli imprevisti, in pratiche di auto-soccorso: “Io sto facendo una coperta coi ferri”, “ci facciamo forza tra di noi e ci diamo conforto”, “facciamo attività fisica così siamo più forti contro il virus”.
DISTANTI, MA UNITI
Non solo parole. Anche le immagini hanno composto quel contenitore emotivo che ha consentito il superamento della tempesta. L’equipe e gli ospiti dei gruppi appartamento 2passi e Ariete con la fotografia hanno prodotto un collage “speciale”. Raccontavano gli operatori durante il lockdown: “Nonostante i contatti con l’esterno siano minimi, non ci sfiora nemmeno l’idea di essere soli, si sente di far parte di qualcosa di più grande, che va al di là della propria struttura o del proprio ruolo, il senso di appartenenza si fa più forte, le videochiamate, le mail, le comunicazioni giornaliere fanno sapere che ognuno sta portando avanti il proprio pezzo per il bene di quella che può tranquillamente essere definita la nostra grande famiglia. Ci sentiamo di far nostro lo slogan #distantimauniti, perché è proprio così!”.
AURORA
La reazione al buio ha coinvolto anche il gioco, la corporeità. Ecco l’esperienza della Comunità Aurora, in cui fin da subito, si è iniziato ad animare con ogni tipo di attività le giornate in struttura. Si sono proposte partite a bocce, a calciobalilla, a pallacanestro nel cortile della comunità e nei locali dell’oratorio. Altri giorni invece il programma prevedeva di sperimentare nuove ricette di cucina, organizzare balli e karaoke, divertirsi con giochi da tavolo e partite a carte. Per il futuro ci sono tante attese, speranze e sogni: “..fare un giro al mercato .. salutare i compagni e gli operatori del centro diurno”. E’ stata la quotidianità a scioperare contro la difficoltà, rendendola più mansueta e meno insidiosa. La quotidianità nella sua forma più lieve: giochi, diari, cene. Un senso di appartenenza che allaccia i corpi, li protegge, anche se fisicamente lontani.
Progetto Emmaus