Ho lavorato per anni come educatore professionale nei Servizi Territoriali della Cooperativa rivolti a minori disabili. Il tema della promozione e sviluppo delle autonomie, a partire da quelle di base, è sempre stato al centro dei confronti con referenti e colleghi nelle riunioni di équipe: si discuteva sul ruolo da noi svolto come figure in grado di accompagnare le persone nello sviluppo delle proprie abilità senza sostituirsi ad esse, incoraggiandole a riconoscere ed utilizzare le proprie risorse. In poche parole si cercava quando possibile di lavorare con le persone sul “fare a meno di noi”, anzi “senza di noi”.
Il costruire progetti nei quali potessimo anche renderci pian piano “invisibili” e quindi non “indispensabili” era sia sfidante che gratificante: il confrontarsi e l’essere spronati a cercare, a rivolgere lo sguardo verso proposte/alternative sempre diverse è sicuramente “l’attrezzo professionale” che l’esperienza in Emmaus ha lasciato nel mio personale bagaglio professionale. Ripensando a queste tematiche il ricordo dell’intervento con Francesco, che frequentava l’ultimo anno di scuola media e stava per iscriversi alle scuole superiori, lontane da casa sua, mi torna prepotentemente alla mente.
C’erano le condizioni per poter imparare a prendere da solo l’autobus, ma bisognava incentivare in qualche modo questa autonomia. Francesco amava giocare a calcio e insieme avevamo iniziato a frequentare una squadra composta da persone disabili. Gli proposi di prendere il mezzo pubblico per andare agli allenamenti. Francesco accettò e mi sorprese la velocità con la quale passai dal prendere l’autobus con lui, all’attenderlo poi alle pensiline delle fermate, fino ad aspettarlo solamente all’ingresso del campo da calcio. Nel giro di pochi mesi Francesco era in grado di andare agli allenamenti e di svolgerli senza la mediazione di un educatore.
Vidi ancora Francesco un paio di volte a inizio anno scolastico, alla fermata dell’autobus della scuola. Mi salutò con un cenno: quel gesto mi fece capire che non ero più “indispensabile”… ed ero contento di non esserlo.
Marco Castrone