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IL RACCONTO DI EMANUELA GRILLO VINCE LA MENZIONE SPECIALE DEL PREMIO PIERA COSTA

Luglio 30, 2025|Cooperativa Progetto Emmaus|NEWS

Emanuela Grillo, già operatrice di Progetto Emmaus, ha vinto la menzione d’onore al premio letterario Piera Costa – dedicato a una figura di spicco nella comunità albese, socia fondatrice e per lungo tempo presidente della cooperativa Libraria La Torre.

Riportiamo di seguito il racconto integrale di Emanuela.

Granelli di sabbia

Sono da poco passate le due di un pomeriggio di fine agosto e sono seduta in salotto a guardare un programma in TV. Gli altri stanno schiacciando un pisolino ma io non ho questa abitudine: se mi addormentassi adesso, anche solo un quarto d’ora, passerei una notte insonne. Invece così facendo, mi assicuro un sonno continuo e riposante. Quelli del mattino sono andati via, hanno appena finito di dare consegna agli operatori del pomeriggio che invece sono ancora in ufficio. In Tv danno la pubblicità, ne approfitto per fare due passi. Afferro il deambulatore e provo a muovermi un po’. Le sento confabulare. Si lo so, non si origlia, ma ho più di un paio di motivazioni per scagionarmi dall’eventuale accusa di essere una spia: le porte sono sottili, si sente addirittura se uno dell’altra stanza sbadiglia!

Ho bisogno di sgranchirmi le gambe e poi passavo casualmente di lì e niente, le ho sentite:

«Che dici, ce li sfruttiamo questi ultimi raggi di sole estivo?»

«Cosa hai in mente stavolta?»

«Usciamo. Facciamo merenda all’aperto.»

«Se i ragazzi son d’accordo, perché no? Sai già dove?»

«Credo proprio di sì… ma non lo dico nemmeno a te, è una sorpresa!».

Oggi pomeriggio sono in turno Anna e Chiara e loro, quando sono insieme, si inventano sempre qualcosa. Ovviamente sono felicissima di uscire, ma non ho proprio idea di dove andremo. Io sono tra quelli che qui ha più difficoltà, non deambulo bene, a parlare non ci penso nemmeno e se mi mettessi a elencare i miei problemi di salute non basterebbe questo foglio. Per proteggere la testa da eventuali colpi, nell’eventualità che sopraggiunga una crisi epilettica, di giorno indosso sempre un casco, come quello dei ciclisti che ogni tanto vedo passare quando sono seduta in giardino. Ovviamente comunico, ma io lo faccio alla mia maniera e prima o poi tutti arrivano a comprendere che cosa ho da dire. Addirittura Anna, lei ha iniziato a lavorare per noi lo scorso autunno. Prima faceva l’educatrice nei Gruppi Appartamento. Quanto ci ha stressati con la storia che lei era un’operatrice dei Gruppi, che il Gruppo è un’altra cosa, che le piaceva di più eccetera eccetera eccetera. Inizialmente non mi considerava proprio, poi gradualmente e con non poca fatica da parte sua, ha iniziato a capirmi. Devo ammettere che mi sta simpatica. Chiara invece lavora qui da più tempo e quest’anno è diventata la mia operatrice di riferimento. C’è anche Federica, la ragazza che svolge il Servizio Civile; con lei è più facile organizzare le uscite di gruppo, e oggi è un giorno di quelli. Ah, dimenticavo, mi chiamo Roberta, ho 53 anni (ma onestamente ne dimostro molti di meno) e sono ospite di questa Comunità per persone disabili da quasi dieci anni, ormai. Siamo in sette, quattro donne e tre uomini e in genere, a parte qualche discussione per chi non ha mai voglia di lavare i piatti andiamo tutti molto d’accordo. Viviamo a Pollenzo, un pittoresco borgo a metà strada tra Alba e Bra e meta di molti turisti, ma le nostre giornate, molto spesso iniziano e si concludono dentro le mura della Comunità. Non possiamo permetterci di girare il mondo. Io e i miei compagni stiamo invecchiando, e comunque, anche da giovani abbiamo sempre avuto qualche piccolo disturbo. Per non parlare dei soldi; ormai ne spendiamo parecchi per i nostri problemi di salute che purtroppo continuano ad aumentare. Dunque, quest’anno per noi, come per molti altri, immagino, niente vacanze. Io però, di natura sono un’ottimista, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, anche dopo che ho bevuto: nonostante tutto, io e i miei compagni siamo dei privilegiati perché il nostro territorio ci offre uno spettacolo mozzafiato per gli occhi e per l’anima: per vedere il bello della natura, non siamo tenuti ad allontanarci troppo. A pochi chilometri dalla nostra Comunità, scorre il fiume Tanaro, ma questo lo sanno tutti. Quello che invece io stessa ignoravo era che a fine giornata sarei venuta a conoscenza di un piccolo segreto: esiste un posticino lungo questo fiume, denominato “la spiaggia dei cristalli”. Beh, non ho idea del motivo per cui abbiano deciso di attribuirgli questo nome, ma posso assicurare che è un luogo davvero speciale. Un’ora e mezza dopo:

«Anna hai preso il cappellino per Alberto?»

«Si»

«La crema solare?»

«Certo»

«L’acqua? I bicchieri?»

«Yes. Ho preparato la borsa frigo perfetta. Possiamo andare».

Chiara è una molto precisa, non ci muoviamo mica se non è tutto a posto. Attraversiamo il cortile e ci dirigiamo verso il parcheggio del nostro super Ducato. Sono emozionatissima, non vedo l’ora di partire. Chiara si rivolge ad Anna:

«Ragazza abbiamo un problema»

«Cioè?»

«Siamo in dieci, ho dimenticato di contare Federica e il Ducato ha nove posti. Come facciamo? Non ci stiamo tutti»

«Aspetta, fammi pensare… trovato! Lascia fare a me!»

Confesso che sono leggermente preoccupata, non posso sapere che idea le sia venuta in testa. Tanto sarà inutile replicare. Anna ci fa salire tutti, chiede alla collega e a Federica di sedersi l’una al posto di guida, l’altra accanto, poi si dirige verso il retro del Ducato e apre il portellone posteriore. Sale a bordo posizionandosi nello spazio che utilizziamo per riporre i bagagli, dietro i tre sedili. Porta le ginocchia al petto e con una sola mano richiude il portellone. Sentiamo una voce che urla:

«È tutto ok! Possiamo partire!»

Chiara e Federica scoppiano a ridere, Marta mi guarda mentre si porta il dito sulla tempia e a bassa voce mi dice: «Non sta mica bene quella». Anche io rido, forte: posso dichiarare con certezza che ci sono tutti gli elementi che preannunciano un pomeriggio a dir poco strabiliante. Chiara mette in moto e partiamo per questa avventura. Il viaggio è breve, dura all’incirca venti minuti. Parcheggiamo il furgone in un ampio e deserto luogo di sosta e dopo essere scesi tutti, iniziamo a camminare. Anna afferma di sapere dove stiamo andando, che avremo da percorrere a piedi all’incirca un chilometro prima di giungere a destinazione, ma lei e l’orientamento non vanno proprio d’accordo. Tutte le volte che andiamo in giro, o sbaglia strada, o imbocca quella più lunga. Non lo fa apposta, è fatta così. E anche questa volta non si smentisce. Dopo qualche centinaio di metri, ci rendiamo conto che stiamo tornando indietro, nel posto in cui avevamo parcheggiato … lo sapevo! È la solita imbranata. Alberto brontola, Marta incrocia il mio sguardo e sorride. Gli altri quattro non hanno neanche capito cosa sia successo; in ogni caso ritorniamo al punto di partenza e appena riesce a ricordare quale stradina bisogna imboccare ci avviamo, per la seconda volta. Due giorni fa c’è stato un forte temporale, quindi bisogna far attenzione a non scivolare sulla terra bagnata, ma le pozzanghere che incontriamo durante il tragitto, come piccoli occhi di acqua e fango, ci vedono passare e ci sorridono e io, dal canto mio, ricambio il saluto, con un forte battito di mani e un personale vocalizzo di ringraziamento. Giunti davanti a un enorme campo, Anna ci chiede di fare silenzio, altrimenti non riusciamo a sentire il rumore dell’acqua e proprio in quel momento scorgiamo una piccola scaletta fatta di rami, pietre di diverse dimensioni e terra, la via d’accesso alla nostra meta. Io mi aggrappo a Federica, bisogna scendere piano piano e fare attenzione a non scivolare. I miei compagni, come ho già detto, sono quasi tutti anziani, e quindi c’è voluto un po’ prima che ci ritrovassimo giù tutti insieme, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Dietro di noi il sentiero, con i suoi alberi e rovi, davanti a noi, cristalli di gesso, sassi, rocce e… sabbia. Quello che vedono i miei occhi quasi mi blocca il respiro. Batto fortissimo le mani e lascio andare un urlo di entusiasmo. Non avevo mai visto niente di più incantevole: il fiume, con la sua acqua rilucente e così vicino a me, la piccola spiaggia bianco avorio, il cielo terso che fa da sfondo a questa meravigliosa scenografia naturale.

Anna e Chiara stendono i teli per farci stare comodi, Federica offre a tutti noi un bicchiere d’acqua, poi mi accompagna e mi fa sedere proprio su quello azzurro, che ha tre grandi farfalle stampate al centro, il mio preferito. Mi toglie le scarpe e le calze. Il sole è caldo, ma una leggera brezza mi accarezza il viso e per un attimo dimentico tutte le preoccupazioni che quotidianamente mi fanno compagnia. Tocco la sabbia e faccio scivolare tra le dita quei minuscoli granelli. Le mie mani sono matite che delineano piccoli sentieri selvaggi. La sabbia diventa una grande lavagna, sulla quale lascio traccia di me. Sto per disegnare un piccolo fiore, ma sento che i miei compagni mi ricoprono i piedi di sabbia, sorrido e il sole mi fa luccicare gli occhi come quei cristalli di cui sono circondata; questo momento mi sta riempiendo di gioia, un’emozione così intensa che non riesco e forse non voglio, contenere. Rido a squarciagola, la mia voce rimbalza sui sassi e da un senso di me all’aria. Chiudo gli occhi e continuo a ridere, la mia risata invade ogni granello di sabbia, ogni centimetro della spiaggia, ma non voglio smettere. Sollevo le mani e le avvicino, le unisco, inizio a batterle, una contro l’altra, finché non produco un suono che piano piano diventa musica. Il cuore sta impazzendo, continuo a ridere e a battere le mani, sempre più forte. Chiudo gli occhi. D’ un tratto sopraggiunge, tanto violento quanto dolce un ricordo della mia infanzia. Ho sette anni e sono al mare con i miei genitori per trascorrere le vacanze estive. Dopo il bagno, mamma legge uno dei suoi libri, sotto l’ombrellone, invece io gioco sulla spiaggia insieme al mio babbo. Mi piace tantissimo. Lui cerca di costruire per me tanti piccoli castelli che però mi diverto a distruggere. Eh sì, sono sempre stata birichina. Allora lui ci riprova e ride, non corro nessun rischio che possa arrabbiarsi: in fondo sono la sua preferita, me lo sussurra tutte le sere dopo il bacio della buonanotte. Non gli permetto però di continuare il lavoro perché mi attacco a lui e lo abbraccio forte forte: l’unico modo che conosco per dirgli che gli voglio bene.

Il mio babbo è volato in cielo tre settimane fa, dopo una lunga malattia. Mi manca tantissimo, ma sono sicura che ha solo cambiato luogo di lavoro: continua a essere il mio angelo custode, solo che è andato in trasferta a tempo indeterminato. A questo pensiero un’impercettibile lacrima mi inumidisce la guancia, riapro gli occhi e mi sembra di varcare la soglia di un sogno. Davanti a me il fiume scorre limpido e abbagliante, bello a tal punto da incantarmi. Lentamente appoggio le mani sulla sabbia e cerco di tirarmi su. Federica dove sei? Voglio andare vicino all’acqua. Ah eccoti qui, dai su, avvicinati a me, andiamo a vedere che cosa c’è li. Oh. La vedi anche tu? Ci stiamo specchiando e questo è il riflesso della felicità, guardalo bene. A me però non basta vederla, la voglio toccare questa felicità, così immergo le mani e i piedi nell’ acqua e produco tanti schizzi, che faccio arrivare fino a te. La morbida sabbia sul fondo mi fa sentire come una piuma che ondeggia di qua e di là. Barcollo così tanto che… ops, cado nell’acqua e tu con me! Dai Fede, non ti arrabbiare, ridiamo insieme! Ora si che posso sentirla la felicità, posso toccarla; è così fresca e pura. Adoro prenderla con le mani e lanciarla, vederla scintillare nel cielo e farla ricadere addosso a me. È ora di rialzarsi. Prendimi per mano e aiutami a uscire, stammi vicino e accompagnami. Torniamo sulla spiaggia. Dammi le mani e accarezza la sabbia, ridi con me, ridi come me… Sono quasi le 18, la giornata sta per finire, dobbiamo rientrare in Comunità, è quasi ora di cena. Federica mi aiuta a calzare le scarpe e delicatamente mi pulisce il viso e le mani. Un gesto che mi rattrista, non vorrei abbandonare questo luogo magico, così senza farmi vedere racchiudo nel pugno un po’ di sabbia e la porto con me. È faticoso dover tornare a casa, ma ancora più complicato sarà doversi inerpicare su quella particolare scaletta. Di nuovo mi avvinghio a Federica, e un passo dopo l’altro proviamo a salire. Purtroppo inciampiamo e lei sta quasi per cadere. Stavolta sono io a tenerla: si appoggia timidamente al mio braccio cercando di non farmi scivolare. Qualche istante dopo, una piccola pioggia dorata avvolge i nostri corpi: i granelli di sabbia che tenevo tra le mani.

Durante il viaggio di ritorno ci imbattiamo in un posto di blocco. Da dove sono seduta riesco a percepire l’ansia di Anna: sta trattenendo il respiro, ma riesco a sentire i rapidi battiti del suo cuore. È immobile. La sua solita leggerezza e allegria sembrano averla momentaneamente abbandonata. Vorrei poterla rassicurare ma non posso girarmi, altrimenti rischiamo di farci scoprire. Il poliziotto si avvicina a Chiara e le chiede patente e libretto. Dà una rapida occhiata all’interno del nostro veicolo e quando si accorge di noi si stampa sulla faccia un sorriso di cortesia. Chiacchiera con Chiara, le chiede dove siamo diretti. Federica prende in mano la situazione dicendogli che stiamo tornando da un lungo viaggio e siamo tutti molto stanchi, ma che per fortuna manca poco per arrivare a casa. Il poliziotto comprende e riconsegna i documenti a Chiara:

«Certo, andate pure! Buon rientro e soprattutto buon riposo!». Appena il Ducato rientra in carreggiata, sento fuoriuscire tutto il fiato trattenuto da Anna e stavolta non dice una parola finché non arriviamo in Comunità:

«Siamo state fortunate Chiara. Se avesse controllato dietro saremmo stati spacciati. Sicuramente avremmo dovuto pagare una grossa multa e poi chissà quali altre conseguenze ci sarebbero state!»

«Anna, nasconderti nel bagagliaio è stato un gesto avventato da parte tua, è vero, ma se non avessi trovato quella soluzione per così dire “creativa”, avremmo dovuto rinunciare a questa giornata. Alla fine è andata bene. Su, è ora di servire la cena adesso».

Quella notte non riuscii a chiudere occhio, invece di dormire e riposare, passai il tempo a picchiettare il casco sulle sponde del letto. Ripensavo continuamente al pomeriggio appena trascorso, a ogni singolo momento, compresa la parte finale del viaggio: nel buio della mia stanza potevo finalmente ammettere di avere avuto molta paura: se il poliziotto si fosse accorto di Anna, la fantastica giornata che stavo ancora vivendo sulla pelle sarebbe finita nella scatola dei brutti ricordi. A ripensarci bene però, non sarebbe mai potuto accadere: il mio angelo custode anche in trasferta è reperibile H24: non avrebbe permesso a nessuno di distruggere un castello, che fosse fatto di sabbia o di sogni, costruito proprio per la sua amata bambina.

____________________________________________________________

AL CONCORSO PIERA COSTA HA PARTECIPATO ANCHE LA POESIA DI MAURIZIO SAVI, CHE PUBBLICHIAMO DI SEGUITO

TRA LA MORTE E LA VITA

LA SPERANZA CI CHIAMA

Il cielo è costellato di stelle

ma chissà qual è la stella mia

io che son nato di certo ribelle,

ora mi dibatto in questa agonia.

È una sera strana in cui sono solo

a combattere con la mia follia,

cerco le forze per riprendere il volo

ma questo mondo oramai si allontana:

spento lo sguardo si fissa sul suolo.

Fra poco si sentirà la campana

battere forte per dodici volte,

è l’ora che ogni dissidio si appiana

e ciascuno prega per la sua sorte.

Domani mattina un altro giorno verrà

e la vita ci farà ancora la corte,

un’altra lusinga il cuor ci scuoterà

combattendo contro il desiderio di morte.

                                                                 Maurizio Savi

Luglio 30, 2025 Cooperativa Progetto Emmaus

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