“Nel panorama mutevole e spesso frenetico della società contemporanea, le famiglie si trovano ad affrontare sfide di una complessità inedita. I ritmi serrati, le pressioni economiche e la crescente solitudine relazionale possono rendere il compito genitoriale un percorso ad ostacoli, dove il disagio può emergere in forme molteplici e inattese”. Così Chiara Di Stefano, operatrice dell’Area Territorio di cooperativa, racconta la partecipazione a “Genitorialità Positiva” – un servizio della Regione Piemonte realizzato dal Consorzio socio assistenziale Alba Langhe e Roero, a cui noi collaboriamo. E prosegue: “Il percorso non è da considerarsi semplicemente come un incarico professionale, ma come l’adesione a un modello di cura e vicinanza che risponde attivamente a questa fragilità diffusa; costituisce una preziosa opportunità per sperimentare nuovi approcci metodologici nel lavoro educativo sul territorio, che siano capaci di abbracciare la realtà con occhi nuovi”.
La famiglia è al centro del lavoro, partecipa ed è protagonista delle riunioni di equipe, il bambino acquisisce un protagonismo centrale: la sua voce, i suoi desideri e sogni sono al centro del lavoro degli operatori. Così, si ribalta la logica tradizionale: è la famiglia a guidare il lavoro dei professionisti, non viceversa.
Nel concreto ogni giorno vengono realizzate attività educative con i bambini, momenti di confronto di equipe, scambio emotivo-relazionale attraverso l’utilizzo di giochi, disegni e tecniche teatrali. Vengono organizzate gite, feste e laboratori, si facilita l’accesso alle attività sportive e aggregative del territorio, si lavora in collaborazione col mondo scolastico e sull’attivazione di prossimità solidale – ovvero sulla capacità delle famiglie di aiutarsi a vicenda.
Prosegue Chiara: “In questo contesto, il futuro del lavoro educativo risiede senza dubbio nella capacità di adottare un modello di intervento che sia integrato e orientato alla totalità del contesto familiare, distinguendosi dalle metodologie tradizionali e dimostrandosi in grado di innovare la pratica per rispondere meglio alle sfide complesse della vulnerabilità contemporanea. La prima è stata il cambio di prospettiva nell’osservazione del bisogno. Si è avuta la possibilità di affiancare non solo famiglie dell’area disabilità, ma anche quelle che vivono situazioni complesse di disagio sociale, economico o famigliare. Questa visione allargata consente di uscire dalle categorie rigide e di riconoscere la vulnerabilità nella sua interezza, rispondendo ai bisogni reali che emergono dal contesto – non limitandosi a quelli etichettati, ma soprattutto promuovendo l’espressione diretta dei bisogni da parte della famiglia stessa, aiutandola attivamente a esprimerli e a negoziare le risposte”.
E conclude: “La metodologia prevede di riconoscere, incoraggiare e valorizzare attivamente i punti di forza di ciascun nucleo familiare, elemento che si rivela essere la vera chiave di volta per il cambiamento. Ogni famiglia possiede risorse interne, anche quando non ne è pienamente consapevole; il compito è quello di illuminarle e usarle come base solida per la costruzione autonoma del benessere. La collaborazione stretta con le figure di psicologi e psicoterapeuti si è dimostrata essenziale, non configurandosi come una semplice delega di compiti, quanto piuttosto come una vera e propria integrazione di competenze. Per l’educatore di territorio, sapere di poter contare su questa sinergia significa acquisire la capacità di agire con maggiore consapevolezza, profondità e, soprattutto, efficacia. Questo modello collaborativo non è semplicemente un’opzione, ma la via maestra per garantire un futuro di vera inclusione e supporto concreto alle famiglie”.


