Venerdì 6 Marzo, presso il Centro Incontri della Regione Piemonte, si è tenuto il Convegno “Fratelli Unici” sul tema della fratria in ambito disabilità. Al Convegno ha partecipato Jessica Ponzo, psicologa specializzanda in Psicoterapia, allieva della scuola Episteme di Torino e tirocinante presso la Cooperativa Progetto Emmaus di Alba.
Il suo contributo è relativo al progetto “Spazio Famiglia”, nato all’interno della cooperativa per offrire un aiuto ai familiari degli ospiti; si tratta di un gruppo di sostegno psicologico, condotto dalla dott.ssa Sperone e dott.ssa Ponzo. Il gruppo inizialmente era nato come Spazio esclusivo per i fratelli.
Naturalmente sappiamo che una famiglia che riesce a gestire lo stress di accudimento in maniera “adeguata” è in grado poi di dare vita ad un contesto di vita in grado di sostenere emotivamente e psicologicamente la persona disabile. I primi destinatari di attività e forme di sostegno sono sicuramente i genitori, i principali caregivers. Non bisogna dimenticare però che i fratelli rappresentano un’importante risorsa all’interno del sistema familiare: una risorsa sicuramente emotiva sia per i genitori che per il fratello disabile ma anche una risorsa concreta. Spesso con l’andare del tempo si fanno infatti carico delle questioni di gestione pratica della vita del fratello disabile. In questa cornice si colloca poi il discorso importante del DOPO DI NOI, domanda che più o meno implicitamente accompagna la vita dei siblings[1].
Se è vero che essere siblings non comporta necessariamente il fatto di avere difficoltà o vivere disagi, è altrettanto vero che implica sfide evolutive non sempre semplici da superare. Diversamente dai genitori, il sibling cresce e si costruisce come persona e come adulto confrontandosi continuamente con la condizione di disabilità del fratello.
L’idea di proporre il gruppo ai fratelli ha incontrato numerose resistenze da parte degli stessi: si è cosi pensato di ipotizzare quali possano essere state le cause di questa grande difficoltà nel partecipare al gruppo.
Possono esserci state difficoltà legate alla dimensione gruppale e al confronto con altre persone e probabilmente una scarsa informazione su cosa sia un gruppo di sostegno, può aver giocato un ruolo importante. Pensando ai fratelli si sa che la maggior parte di essi sono molto presenti nella vita del fratello disabile, spesso sono oberati dagli impegni e dalla gestione della vita quotidiana del fratello disabile. Magari non attualmente, ma in passato probabilmente si. Questo porta, in molti casi, alla necessità di avere del tempo esclusivo per se stessi.
Pensando al contesto familiare, sin dall’infanzia, i fratelli sani possono aver ricevuto spinte da parte della famiglia ad essere indipendenti ed a rispondere adeguatamente alle domande sociali, con il tempo si cresce con l’idea che si debba sempre cavarsela “da soli” e si fa molta fatica ad accettare occasioni di confronto e crescita provenienti dall’esterno. Inoltre, i siblings imparano sin da piccoli, proprio perché i fratelli disabili necessitano di maggiori cure ed attenzioni, a “soffocare” le loro esigenze; questo porta con il tempo ad una maggiore difficoltà ad esprimere le proprie emozioni e a mettere in prima linea i propri bisogni.
I fratelli, vivono, lungo tutto il ciclo di vita sentimenti altalenanti e ambivalenti nei confronti dei propri fratelli disabili. La vergogna è uno di quei sentimenti che maggiormente si “cristallizza” portando la persona a vivere in maniera sempre di più isolata, facendo molta fatica ad accettare confronti con l’esterno.
Il gruppo è stato successivamente aperto a tutti i familiari, raggiungendo la partecipazione di 7 persone tra cui genitori naturali, adottivi, una cugina e uno zio.
All’interno del gruppo sono emerse tematiche importanti: la paura del dopo di noi, la difficoltà nel lasciare andare, il tema della fiducia, la difficoltà per i genitori nel non sostituirsi a lui/lei nelle attività quotidiane, la paura che il “troppo” amore possa essere dannoso, il tema della frustrazione e della difficoltà nell’accettare i “limiti” dell’altro.
La paura del futuro è una costante più o meno esplicita nelle parole dei partecipanti: per questo motivo è stato organizzato un incontro con Armando Bianco per parlare della Fondazione Emmaus e dei progetti che ruotano intorno alla dolorosa domanda: quale sarà il futuro del mio familiare quando noi non ci saremo più?
Ci si è soffermati molto sull’importanza di trovare il contesto adatto di vita per il proprio familiare e sul fatto che l’inserimento del proprio figlio/nipote all’interno delle strutture della Cooperativa rappresenti sicuramente un aspetto di serenità per tutto il nucleo familiare: ” Se vedo mio figlio sereno, lo siamo anche noi”.
Il gruppo ha rappresentato l’occasione per riflettere sull’evoluzione del rapporto con il proprio familiare, trovare quindi i punti di forza, le aree più dolorose e per cercare nuovi strumenti relazionali per vivere in maggiore serenità.
Durante questo percorso, con l’andare del tempo, si è assistito ad un graduale ridimensionamento della visione totalizzante “tutto va male” e un graduale passaggio dal concreto all’emotivo. Se inizialmente i partecipanti si soffermavano maggiormente su vicende e fatti quotidiani, con il tempo davano maggiore spazio alle risonanze emotive scaturite da un fatto particolare.
Il gruppo è principalmente uno spazio narrativo: spesso i familiari rimangono “ingabbiati” in ruoli dati dalle proprie famiglie e la loro vita in molti casi è altamente influenzata dalle “letture” provenienti dagli altri membri familiari. Capita infatti che le famiglie con una persona disabile rimangano maggiormente cristallizzate in esperienze di significato che difficilmente riescono a modificarsi.
Il gruppo offre la possibilità di confrontarsi con persone che vivono e condividono la stessa esperienza. L’ obiettivo principale è quello di dare spazio alle loro storie di vita, mettendo al centro il “potere” della narrazione: creando e raccontando storie si assegnano significati alla propria vita, ricostruendo scenari passati e intravedendo strade future.
Alla luce di quanto detto sino ad ora risulta chiaro di come sia necessario continuare verso questa direzione: offrire spazi di sostegno psicologico ai familiari e caregivers di persone con disabilità per aiutarli ad affrontare in modo più sereno le sfide che la vita presenta, trovare letture alternative positive ai propri vissuti relazionali e riconoscere il loro “peso” che si portano sulle spalle quotidianamente.
Dott.ssa Sperone
Dott.ssa Ponzo
[1] Sibling: è una parola inglese che significa fratello o sorella, viene comunemente utilizzata per definire i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità