A inizio gennaio è arrivata in Cooperativa, grazie ad un collega, l’opportunità di partecipare ad una formazione intensiva di due giorni al Servizio si salute mentale di Trento, voluta e organizzata dal primario, il Dott. Renzo De Stefani, che in occasione del prossimo pensionamento, ha deciso di “aprire le porte” del CSM ad altre realtà italiane della psichiatria.
In realtà le porte del servizio di Trento sono sempre aperte, ed è questa una delle cose che colpisce di più chi entra da “fuori”: le porte sono spesso un confine che definisce, protegge, alle volte chiude fuori, mentre a Trento è tutto aperto, spalancato alla comunità, ad iniziare dalla mentalità. Le altre realtà in formazione insieme a noi erano miste: psicologi, psichiatri, infermieri ed educatori di vari Servizi di salute mentale (Roma, Milano, Arezzo, Piombino, Treviso), un’associazione di famigliari di Saronno, e tre utenti. Noi come Cooperativa Emmaus rappresentavamo l’unica realtà del Piemonte e del privato sociale, ed è stata una prospettiva assai interessante.
Entrando nel “cuore” di tutto il dipartimento si respira un’aria fresca, di cambiamento: percorrendo il corridoio e arrivando alla zona del bar si percepisce che ogni dettaglio è stato pensato e creato da persone che sanno sognare.
Su una parete si legge “Il posto dei sogni” e appesi sotto ci sono quasi un centinaio di desideri scritti da utenti, operatori, famigliari, ad es: “sogno di prendere la patente”, “sogno di rivedere di nuovo mia sorella”, “sogno di poter continuare a lavorare al bar”, “sogno di fare ancora l’amore”, “sogno di avere una famiglia”, “sogno di stare bene sempre”, e così per altre cento volte.
Rimaniamo affascinate dalla bellezza che ci circonda: è un luogo davvero accogliente ed esteticamente bello, curato e colorato. A fatica si distinguono operatori, medici, utenti, familiari, cittadini, questo perché per anni un obiettivo del Servizio (nella persona del Dottor De Stefani stesso, primario dal 1993) è stato quello di coinvolgere maggiormente utenti e familiari, trasformando quell’impegno sociale nell’approccio che oggi chiamano “fareassieme”.
Il “fareassieme“ è un approccio che valorizza la partecipazione e il protagonismo di tutti, che si sviluppa in rapporti di condivisione tra utenti, familiari e operatori, vissuti in un clima amicale e ricco di affettività. E’ il concetto chiave di tutte le attività, i gruppi, le aree di lavoro promosse dal Servizio di Salute Mentale, in collaborazione con alcune associazioni e cooperative, in cui sono coinvolti alla pari utenti, familiari, operatori e cittadini.
Da qui la nascita “spontanea e dal basso” degli UFE (Utenti e Familiari Esperti), figura rivoluzionaria nata a Trento negli anni duemila. Gli UFE sono coloro che hanno fatto percorsi di cura riusciti e che hanno acquisito e maturato una forte consapevolezza del proprio sapere esperienziale. Il motto è: “chi può capire il disagio mentale meglio di una persona che ci è passata?”. Vengono da tutto il mondo a Trento per studiare questa esperienza di “assistenza tra pari”. A natale, ad esempio, è venuta una delegazione dal Giappone e se ne è occupato un giornale di Tokyo che ha il record mondiale di tiratura.
Oggi gli UFE “lavorano dentro” al sistema, fornendo, in modo strutturato e continuativo, delle prestazioni riconosciute, anche dal punto di vista economico. Gli UFE affiancano gli operatori, ma non li sostituiscono, sono un valore aggiunto, migliorano il clima, favoriscono l’adesione ai trattamenti e i risultati in certi casi sono “miracolosi”. Le resistenze degli operatori all’inizio erano tante, e ne hanno limitato un po’ la diffusione, ma ad oggi il riconoscimento è unanime e attualmente sono circa 40 che lavorano in ogni area del servizio.
Facendo una rapida carrellata, abbiamo avuto modo di visitare: il CSM (aperto anche il sabato e la domenica), il Day Hospital (alternativa al ricovero), il Centro Diurno (tutte attività qualitativamente elevate, gestite per lo più da volontari esperti, da citare il gruppo “Quasi amici” in cui chi sta meglio si impegna a fare qualche cosa di concreto per chi sta male, anche semplicemente in una giornata telefonare tre volte per chiedere come sta), l’SPDC (no restraint, porte aperte), il mondo dell’abitare e il mondo del lavoro.
Lavorando noi colleghe nelle strutture residenziali (sia in comunità che in gruppi appartamento) siamo state assai trasportate dal mondo dell’abitare. Vige il principio della “convivenza leggera”, il concetto di gruppi appartamento e di comunità resiste ancora ma è assolutamente residuale, in quanto a Trento incentivano maggiormente le convivenze tra due o tre persone al massimo. In coerenza con l’approccio del “fareassieme”, anche le scelte residenziali sono condivise tra l’utente, i suoi familiari e i suoi operatori ed è valorizzata la responsabilità personale.
A tale scopo hanno creato una “mappa dell’abitare”: strumento che aiuta ad incontrarsi per esprimere aspettative, desideri, preoccupazioni e provare a trovare assieme la soluzione più adatta. Il potere di scelta è in mano agli utenti, che selezionano una serie di proposte e si recano a visitare i vari contesti abitativi accompagnati da un operatore e da una persona che conosce molto bene il suo quotidiano. In questo modo risulta più semplice delineare progetti “su misura”, partendo dall’empowerment, sui bisogni delle persone e tutelando il diritto di cittadinanza: tutti hanno il diritto ad avere una casa propria con persone che si scelgono. Sono state abbattute barriere tra ciò che riguardano i budget della psichiatria e quelli dei servizi sociali, mischiando spesso le carte e offrendo maggiori opportunità, il progetto si chiama “Fa la casa giusta” e nasce dopo anni di concertazione tra i due servizi (e di lotte dicono loro). Abbiamo avuto il privilegio di ascoltare diverse testimonianze, due tra tutte ci hanno particolarmente colpito.
La prima è quella di due signori di mezza età che convivono da qualche mese, in attesa che a uno dei due venga riconosciuta la possibilità di accedere ad una casa propria. Si conoscevano perché frequentavano il gruppo canto insieme e si sono scelti. All’inizio la loro convivenza pareva essere un azzardo, ma nel giro di pochi mesi raccontano di quanto entrambi siano riusciti a trovare dei vantaggi: hanno scoperto di potersi sostenere reciprocamente e soprattutto sollevare dalla solitudine.
E la seconda storia è di un ragazzo extracomunitario, arrivato nel 2012 dalla Libia a Trento senza nessun riferimento, come capita spesso, ricominciando da capo la vita. Si era interrogato su cosa volesse fare, prima di tutto imparare l’italiano racconta, per poter comunicare con gli altri, e poi “fare del bene”. Da qui il contatto con il centro di salute mentale, che grazie al progetto “Amici per casa” vengono favorite le esperienze di convivenza tra utenti psichiatrici e rifugiati/profughi.
La funzione è quella di valorizzare le esperienze di vita dei singoli e l’empatia che scaturisce da storie di sofferenza differenti, mettendo al centro la funzione affettiva dell’accoglienza, a prescindere dal bisogno abitativo, ma trovare un posto chiamato casa. Ad oggi sono state un centinaio di persone coinvolte: hanno conquistato dignità e autonomia grazie a questo progetto semplice ma rivoluzionario, sostenuto economicamente anche dai vitalizi dei consiglieri provinciali recuperati dalla regione.
Questo è stato un lavoro al limite della “sovversività”, lo stesso De Stefani racconta di anni di battaglie, che il cambiamento culturale è una ricerca e una lotta quotidiana, una goccia che incide la pietra, ma ci chiediamo: “non era proprio questo che la legge Basaglia, e la cultura sottostante all’epoca, avevano delineato per il futuro?. Perché solo a Trento, e in pochissime altre realtà italiane, ha attecchito un discorso del genere?”.
Basterebbe forse iniziare dall’apertura di qualche porta e recuperare il concetto di recovery? Quando si soffre di un problema mentale avviene una ferita tra sé e il mondo circostante, e la cura non consiste solo nel concetto di recupero, ma in tutto ciò che permette una valorizzazione della persona, un’attenzione sociale che è altrettanto importante, di vivere con qualità e dignità. Cambiamento, condivisione paritaria, continuità, accoglienza, protagonismo, partecipazione, responsabilità, empatia, vicinanza emotiva, fiducia e speranza, valorizzazione del singolo, integrazione, collaborazione, diritto di cittadinanza: queste sono alcune delle parole che continuano a risuonare nelle nostre menti pensando a questa esperienza.
Abbiamo fatto un viaggio dentro ad una rivoluzione di liberazione, una rivoluzione che è partita da piccoli passi. Anche noi siamo all’interno, proprio in questi mesi, di una rivoluzione proposta dalla D.G.R. n. 29 del 2016, la tanto citata legge di riordino dei servizi psichiatrici territoriali della Regione Piemonte…si tratta di subirla o di cercare nuove risposte con creatività e passione.
Elemento fondamentale è la condivisione, a partire dagli utenti, dai Servizi e dalla partecipazione della comunità stessa. Tutti gli spunti di riflessioni ricevuti a Trento ci hanno reso terreno “seminato”, compito nostro è condividere e capire come possiamo reagire: ci comporteremo come terra deserta o come terreno fertile?
Un cambiamento di prospettiva è possibile… a partire dai sogni!
Chiara, Silvana e Stefania