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La certificazione etica

Giugno 13, 2018|Cooperativa Progetto Emmaus|NEWS

Il concetto di qualità del vino non solo non è facilmente definibile, ma risulta molto dinamico sia nel tempo, che nello spazio. E’ comunque sempre correlato ai cambiamenti socioeconomici in atto in tutto il mondo.“Astratto ma determinate“: l’azzeccata definizione del concetto di qualità del vino  di Ezio Rivella, allora presidente asso enologi, sintetizza in poche parole le difficoltà nel confrontarsi con i parametri della qualità.  A riguardo, in aiuto agli imprenditori vinicoli, sono arrivate a partire dagli anni 90 le cosiddette “certificazioni di qualità”. S’inizio con la famosa ISO (qualità = soddisfare le esigenze del consumatore), per poi passare a certificazioni più ristrette o qualificanti: di processo, ambientale, tracciabilità, ect.

Ma sta emergendo, nello scenario mondiale del vino, un nuovo concetto correlato alla qualità. “Certificazione etica” si potrebbe definire. Un termine, che gli imprenditori vitivinicoli dovranno conoscere. Non va confusa con la certificazione “ambientale”, meglio identificata con il termine di “sostenibilità ambientale”. Preciso che, in questi ultimi anni, in tutte le cantine c’è stato un forte interesse in tal senso. Ne erano coinvolte le scelte strategiche che si effettuavano, sia nel vigneto, che in cantina, per garantire il rispetto dell’ambiente. Non solo riferito a una gestione corretta dei rifiuti aziendali o dell’impianto  di depurazione, ma anche e soprattutto nell’uso razionale delle risorse del territorio.  Obiettivo finale: garantire un prodotto “sano, buono, pulito“, prendendo in prestito uno slogan del movimento Slow Food.

Oggi la “certificazione ambientale” ha perso importanza per diversi motivi. Tutti la applicano, quasi fosse routine: è logico perda d’interesse. Ma il motivo di maggiore rilevanza è diverso: non è facilmente controllabile la reale e concreta applicazione. Si parte con slogan di alto profilo, metterli in pratica è tutt’altra cosa. Oggi, come sopraddetto, il mondo del vino è orientato alla “certificazione etica”. Due gli aspetti principali: il primo riguarda la correttezza dell’azione imprenditoriale. Estesa a 360 gradi. Intendo rifiuto del lavoro minorile, di quello irregolare, la correttezza verso i dipendenti, la scelta dei fornitori o dei mercati che sarà off limits verso paesi con regimi dittatoriali. Sono scelte con cui deve confrontarsi l’imprenditore e sulle quali i consumatori prestano attenzione. L’altra riguarda il giusto prezzo del prodotto esitato sul mercato: la tendenza del futuro è di avere vini di qualità assoluta chiamata oggi “totale” (obiettivo ormai raggiunto da moltissime cantine), ma a un prezzo accettabile. Ovvero a una cifra correlata ai costi di produzione, con un giusto margine di contribuzione.

Prezzi esagerati, correlati a niente o a elementi del tutto effimeri, ovvero a personaggi per nulla carismatici, a zone di recente, e magari discutibile vocazione, sono giudicati un controsenso da parte di molte associazioni di consumatori, soprattutto nel mercato anglosassone. In quest’ottica si sta muovendo il “Consorzio Tutela del Gavi” che nel maggio scorso ha proposto un dibattito alternativo intorno al rapporto tra filiera vitivinicola, territorio e mercato, elaborando una “Carta del Vino Responsabile”, cui le realtà eticamente attente del settore possono rifarsi. In tema “certificazione etica” desidero ricordare il “vino del Sorriso” prodotto da un’associazione di volontariato cattolico della diocesi di Biella, dal nome quanto mai significativo “ Ti aiuto io “

In un vigneto impiantato anni fa nel comune di Candelo varie famiglie, con soggetti diversamente abili coltivano nebbiolo e altri vitigni per poi trasformare l’uva nel vino citato. Anni fa ho avuto l’opportunità di condurre una degustazione guidata del “Vino del sorriso”, alla quale è seguita un’asta finale con vecchie bottiglie di Barolo e Barbaresco. Il raccolto – oltre 4000 euro – è servito per l’acquisto di carrozze per disabili attrezzate per terreni molto accidentati. Mi soffermo anche su una bellissima esperienza vissuta in Alba, nel recente Vinum. Grazie all’interessamento di Alberto Bianco, presidente della cooperativa per disabili fisici e mentali “Progetto Emmaus” di Alba. Nella sala Beppe Fenoglio di fronte ad un pubblico attento e consapevole, ho avuto l’opportunità di presentare alcuni vini elaborati su progetti di solidarietà, da parte di gruppi del volontariato laico e cattolico. La cooperativa “Soloroero” ha presentato l’“Arneis Roero docg Ottomani”, ottenuti in vigne del comune di Santo Stefano Roero. La cooperativa agricola “Maramao”, di Canelli, ha presentato, quattro vini del territorio elaborati da persone straniere richiedenti asilo. Oltretutto sono vigneti abbandonati e a rischio di degrado.

L’associazione dei Volontari del carcere di Alba ha presentato il vino “Vale la Pena” prodotto  utilizzando varie uve della vigna del carcere di Alba. Inutile aggiungere che la qualità di tutti i vini in degustazione guidata era ottima, ma il pubblico è rimasto umanamente coinvolto dagli interventi dei tre produttori. Hanno ben evidenziato tutti i problemi e le difficoltà che incontrano extra comunitari, carcerati, disabili o tossicodipendenti. Persone in difficoltà insomma, che offrono, volentieri e con entusiasmo, il proprio lavoro nel settore vitivinicolo. Aggiungo che tutti i vini hanno ottenuto un vero momento di grande visibilità e il pubblico ha percepito oltre ai caratteri organolettici i valori etici che tutto’ora ispirano i protagonisti dei progetti sopradescritti.

Lorenzo Tablino

Luglio 31, 2018 Cooperativa Progetto Emmaus

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