Scegliere di fare l’educatore è scegliere di essere un educatore, la differenza è davvero sottile ma sostanziale, quando ti viene spiegato con una definizione di poche righe chi è l’educatore* si apre nella mente un mondo parallelo misto di immaginazione, fantasia, paura e sogni. Si sta, si impara a stare sul confine tra questi due mondi cercando di crearsi una propria idea il più concreta possibile, purché non spaventi, poi un giorno si deve saltare giù, scendere da quel filo sospeso che, anche se precario, fino a pochi attimi prima ci rassicurava mettendoci nella condizione di sognare; da equilibristi-sognatori tutto d’un tratto diventiamo operatori sociali con mille epiteti scritti a fianco, talvolta persone vulnerabili, talvolta combattenti, talvolta ancora sognatori, talvolta realisti intrisi di cinismo e sconforto.
Il salto, nel mondo parallelo, a volte, può essere attutito da un grande cuscino, (servizio civile, volontariato, tirocini) che permette di entrare, nel mondo del sociale, in punta di piedi, in qualità di professionisti. Come quando si cade su un cuscino, le emozioni sono piuttosto confuse, c’è l’euforia e l’entusiasmo e il timore per l’atterraggio, c’è la sorpresa nel sentire che si è caduti senza farsi troppo male, magari solo un po’ acciaccati, poi, ci si rotola, si esplora questo spazio intermedio che ancora ci dà un’idea di protezione. Un giorno anche da questo spazio ovattato si scende; già conosciamo cosa c’è oltre la cucitura del nostro cuscino, e quando scendiamo, abituati a quella superficie poco rigida, abbiamo un equilibrio precario da raddrizzare e i muscoli da stiracchiare … ci sentiamo pronti, ma, ancora una volta ci buttiamo.
Eccoci, siamo scesi, ci sentiamo carichi, tutti i sogni che abbiamo fatto ci tornano in mente, si affiancano a quelli nuovi, siamo pronti a concretizzarli, tutti! Davanti a noi, si apre un universo senza confini, talvolta incontriamo stelle luminose, talvolta pianeti da esplorare e vivere. Talvolta vediamo venirci incontro ammassi pietrosi da schivare, altri da affrontare con attrezzi e strumenti che spesso solo noi abbiamo, connotati da caratteristiche prettamente personali o con attrezzi che abbiamo costruito imbattendoci casualmente in una persona che si è infilata nel nostro percorso di vita. O altre volte ancora, forgiamo attrezzi nuovi in collaborazione con altri sognatori come noi (altri educatori). Nella nostra valigia decantano migliaia di attrezzi pronti ad essere usati ma spesso ad essere utile è proprio uno tutto nuovo, da pensare, inventare, già pronto in potenza nella nostra fantasia, pronto a prendere vita.
Tutto questo strano immaginario che ho descritto non è altro che il mio lavoro e quello di tanti miei colleghi che, ogni giorno, desiderano migliorare il mondo circostante e migliorarsi come professionisti. La parola desiderio mi sembra la parola chiave per concludere queste righe. Desiderio inteso come pienezza, un desiderio che ama realizzarsi, che gode nel realizzarsi, desiderio come capacità di realizzazione continua, non come perenne insoddisfazione, desiderio insomma come capacità di stare in modo generativo nelle situazioni.
Michela Ponchione
* “l’operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’èquipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativi/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psico-sociale dei soggetti in difficoltà”