Leggo e sento in questi giorni valanghe di post, articoli, epitaffi che inneggiano all’eroismo degli operatori sociali. L’autocelebrazione di chi non è mai riconosciuto.
E’ motivo di orgoglio per me, nulla da eccepire, ma credo che questi complimenti vadano debitamente condivisi con i reali protagonisti.
Lavoro in gruppo appartamento per persone con disabilità e mai come in questo periodo mi sono resa conto di quanto il nostro lavoro sia in rete con il tessuto sociale di Alba. I nostri gruppi appartamento ospitano 5 persone ognuno, cinque persone che hanno vite, interessi e interazioni sociali diverse. Le loro giornate sono piene, pienissime: sveglia, lavoro, inserimenti socializzanti, terapie varie e poi spesa, cucina, pulizie, lavatrici, se ci sono ancora energie si esce la sera. Ci si incontra poche ore al giorno con i compagni di appartamento perché ci si riunisce tutti insieme solo a cena. Vite piene, a volte più della mia.
Ma un giorno di fine inverno arriva questo grande nemico invisibile e tutto questo cambia. I ragazzi si ritrovano vis à vis già di prima mattina, con equilibri tutti da ricostruire e con cui riconoscersi. Gli operatori iniziano a chiedere le distanze prossemiche da tenere (distanze? da quando le distanze?) e a indossare mascherine e guanti ad ogni minima azione. Tutto ciò che noi operatori consideravamo scontato non esiste più: le trame della rete sono imbrigliate e chissà quando verranno sciolte.
Le dinamiche del gruppo iniziano a dilatarsi e poi restringersi, non c’è più nessuno sfiato a fare da cuscinetto. I miei colleghi ed io ci rendiamo conto di avere tutto sulle nostre spalle, il mondo fuori non ci assiste più. Allora iniziamo a spendere ore di lavoro in videoconferenza per trovare strategie, interventi ed azioni che rendano queste giornate meno pesanti per tutti. Ma, come sempre, il potere del gruppo fa miracoli e così ci troviamo ad assistere alla metamorfosi bruco-farfalla.
Persone con grosse difficoltà di comunicazione ed empatia portano avanti la giornata in gruppo come mai avevano fatto prima, trovando auto-strategie di compensazione dello stress e accettando le frustrazioni proprie e dei compagni. Obiettivi minimi di autonomia pratica scalati con successo senza step intermedi. Pratiche di igiene antivirus apprese in tempo zero. Cosa succede? Noi abbiamo spiegato e loro hanno capito. Hanno capito che un sistema per sopravvivere alla quarantena era da trovare…e subito. E gli operatori non sempre hanno la risposta pronta davanti a emergenze come questa.
Sappiamo bene che questa situazione è una luna di miele destinata a durare poco, ma il GRAZIE va a loro, i nostri ospiti, che riescono ancora a fare tesoro della forza della comunità. Se lo sapessimo fare anche noi, forse non ci sarebbe bisogno della quarantena.
Michela Ferrero