Capita. Capita che un pomeriggio arrivi un messaggio su Messanger:
Ciao Max, come state? Ho letto su Facebbok che tua moglie si è resa disponibile per lavorare in rianimazione all’ospedale di Alba. Ringraziala tanto, come tutti coloro che lottano ogni giorno per aiutare gli altri, mettendo a rischio la propria vita e quella dei famigliari. Noi ora viviamo ad Hong Kong, in una situazione anomala da gennaio, per via del virus, ma non siamo mai stati in lockdown e non abbiamo mai vissuto una situazione tragica come quella italiana. Ma dimmi, come siete messi in cooperativa con le mascherine?
Ecco in quella domanda un raggio di luce che illumina tutto quel grigiore che in queste cinque settimane era entrato dentro di te.
Un’amica di gioventù, che ormai non vedi da 15/18 anni, non sai nemmeno bene quanti anni sono passati dall’ultimo saluto, di cui sai che ha vissuto qualche anno in Spagna, poi in Inghilterra e che, ma tu non lo sapevi neppure, ora vive ad Hong Kong. Proprio lei nel mezzo di un pomeriggio di inizio Aprile, nel mezzo di mille ansie, paure, preoccupazioni per ospiti, colleghi, amici, ha pensato alla cooperativa, al bisogno di mascherine.
Ti racconta che in questi anni ha sempre seguito il lavoro della cooperativa, ha letto gli articoli del vino, dei progetti, ti parla della casa al mare… e tu rimani allibito, piacevolmente sorpreso.
Ti chiede come stanno gli ospiti nelle case, se riescono a tollerare di dover star chiusi tutto il giorno in alloggio, loro che avevano tante attività prima.
Ti rendi conto che è proprio una malattia della globalizzazione, ma a cui si sta rispondendo in modo globale e che l’unica soluzione e cooperare tutti, interessandosi gli uni del bene dell’altro. Ti accorgi in quel momento che non sei solo, fai parte di una squadra, una grande squadra, la migliore a cui si possa appartenere. Far parte di una grande squadra non è sufficiente, quante hanno fallito perché il gruppo non era orientato verso un unico obiettivo o perché gli individualismi avevano preso il sopravvento.
Pensi allora che il tuo è un gruppo di persone che coopera, dove ci si mette l’uno a servizio degli altri, dove l’equipe è qualcosa di più che la somma delle individualità, ma soprattutto dove il noi è l’unico soggetto che esiste. L’obiettivo a tutti è chiaro, ancor di più in questo periodo: il benessere degli ospiti.
Ecco 124 persone che sono orientate a fare quello che hanno sempre fatto, anche se oggi è molto più complesso e difficile, mettere al centro del loro lavoro il benessere degli ospiti.
Avevi però dimenticato che oltre agli operatori ci sono tante persone che ci seguono lontane o vicine che siano, ci pensano e ci sostengono ognuno a modo suo. Divieni consapevole che non siamo soli in questi giorni più complicati del solito, come non lo siamo stati in questi 25 anni di Progetto Emmaus.
La tua amica ti dice che non vuole soldi, che pensava di provare a mandare un pacco con 200 mascherine, che ti spiega essere il massimo che si possa inviare tra privati, che ti manderà un documento da riconsegnare al corriere e che dovrebbero arrivare in 4-5 giorni. Insomma aveva già pensato a tutto, si era già informata su come e cosa fare e a te non resta che dire “grazie di aver pensato a noi”. Lei di nuovo ti spiazza dicendoti “Grazie a voi per tutto quello che avete fatto e farete”.
Tra qualche giorno in cooperativa arriveranno delle mascherine inviateci da un’amica che in un pomeriggio di Aprile ad Hong Kong si è preoccupata di noi e dei nostri ospiti, questo è sicuramente uno dei punti di forza della nostra cooperativa: sapere di non essere soli anche in queste settimane difficili per tutti.
Max Vullo