Non esistono lavori di serie A e lavori di serie B. Tutti i lavori includono dimensioni eroiche, nobili e di rispetto.
Ognuno di noi nel nostro lavoro riceve gratificazioni e in alcuni periodi accumula stanchezza.
Si sente sempre più spesso usare l’appellativo di eroe nei confronti di medici e infermieri ma credo sia importante prestare attenzione al significato evocativo del termine.
Chiamare “eroe” o “angelo” una persona che svolge una professione di aiuto, in questa situazione di emergenza, giustifica l’atteggiamento martire.
Le figure sanitarie stanno lavorando in condizioni di rischio poiché c è una grave carenza di DPI.
Non devono essere eroi, non gli deve essere chiesto di sacrificarsi per il prossimo.
Sono figure professionali e devono avere il diritto di lavorare in sicurezza.
Chiamarli con simili appellativi contribuisce a rendere accettabile il loro sacrifico.
Quando l’emergenza rientrerà e la questione Covid 19 sarà conclusa dovremo avere il coraggio e la forza di schierarci con impegno, come opinione pubblica, dalla parte di coloro che chiederanno maggiori fondi alla Sanità, dalla parte di coloro che si sono ritrovati “eroi” senza mai averlo voluto essere.
Chi sceglie di svolgere una professione di aiuto spesso è motivato nella propria attività quotidiana da una profonda motivazione.
Educatori, infermieri, assistenti sociali, oss, psicologi, medici etc..
La scelta di una professione risponde ad un bisogno psicologico interno (più o meno altruista) ed è possibile ritrovare con una certa frequenza le stesse motivazioni: un profondo bisogno di aiutare e la creazione di un’immagine positiva di sé sentendosi utili al prossimo.
Le spinte professionali sono tutte legittime qualora ci sia consapevolezza delle motivazioni alla base delle proprie scelte e una attenzione costante all’agire cosciente (Zilianti, Ravai, 2007).
Cosa significa avere coscienza del proprio agire professionale?
Significa avere consapevolezza del proprio mondo interno, dei propri limiti e dei propri conflitti non risolti. E’ importante accogliere la sofferenza senza farsi travolgere e tollerare la frustrazione di non poter raggiungere il successo di cura con tutti i pazienti. Essere professionisti nella relazione d’aiuto significa anche abbandonare l’immagine di sé onnipotente, di colui che si “dona” e risolve tutti i problemi.
In una situazione di emergenza come quella attuale l’attenzione al proprio equilibrio emotivo è estremamente importante poiché l’asimmetria della relazione di aiuto si appiana: siamo tutti colpiti, siamo tutti vittime, ovunque si respira incertezza, si vive in costante allerta.
Ricordiamoci ogni giorno, in questa difficile quotidianità senza punti fermi, che siamo “persone”, con tutto ciò che questo comporta, in materia di bisogni, di umori e di timori.
Ricordiamoci che non siamo soli, chiedere aiuto si può, è un diritto di tutti e per chi lavora nel mondo della cura è anche un dovere: nella medicina tradizionale cinese, il concetto di nei gong, che letteralmente significa “lavoro interno”, indica che non si può curare se non si rimane sani.
In una intervista recente Nardone, psicologo psicoterapeuta, sottolinea che sarebbe opportuno creare, a prescindere dalla richiesta, spazi di ascolto e supporto psicologico nei contesti lavorativi per favorire strategie di coping di fronte a fonti di stress elevato e per contenere il sovraccarico emozionale degli operatori.
“Non sentono ancora ciò che stanno provando, lo capiranno più avanti. Parte del personale sanitario ne uscirà ancora più fortificato, ma quelli che non sono in grado di sopportare un carico emotivo così importante ne usciranno massacrati psicologicamente”( Nardone).
Accanto al sostegno psicologico si possono mettere in campo buone pratiche che hanno l’obiettivo di ridurre la sintomatologia da stress, ad esempio prendersi un tempo per sé all’inizio e alla fine del turno per entrare mentalmente nel proprio ruolo lavorativo, creare a fine turno contenitori emotivi (momento di condivisione con i colleghi attraverso un diario di bordo delle emozioni negative, cercare immagini, scrivere parole chiave del turno) in modo da scaricare le tensioni e non portarsele a casa e molte altre indicazioni fornite dall’ ISS che invito a consultare.
Tutto questo passerà, naturalmente nessuno sa esattamente come sarà il nuovo mondo dopo il Covid-19, quali ferite avrà lasciato e quali orizzonti di ri-nascita avrà delineato.
Una cosa forse possiamo permetterci di affermare con certezza: questa dura esperienza donerà occhi nuovi a tutti coloro che hanno scelto di lavorare nella relazione di aiuto.
Michela Sperone
BIBLIOGRAFIA
Zilianti, Ravai “Assistenti sociali professionisti” Carocci Faber, 2007.
- VV.(Autore), Giorgia Cannizzaro (a cura di), Cinzia Montani (a cura di) “Turno di parola” (2018).
https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-gestione-stress-operatori