Metà anni Novanta. Mio marito in quel periodo frequentava ogni giorno la Cooperativa Insieme nella veste di volontario. Un giorno Armando confidò l’idea di provare a far nascere un’altra cooperativa sociale. La nuova realtà avrebbe potuto occuparsi dell’accoglienza abitativa delle persone in difficoltà e fragili. Avevamo scoperto che il bisogno esistente sul territorio era molto grande.
Pur apprezzando le intenzioni di Armando, la mia prima reazione fu di paura: ero preoccupata all’idea di iniziare un progetto troppo difficile. Col passare del tempo accettai di buon grado e condivisi il progetto. Si pensò quindi al possibile nome per la nuova cooperativa insieme agli amici Franco, Anna, Vincenzo e Albina. Ne parlavamo a tavola anche coi nostri figli.
Mio figlio Alberto, che stava studiando psicologia, in quel periodo sperimentava il suo tirocinio con i professori Henry e Pirella presso il Torino Progetto, realtà che ospitava pazienti psichiatrici in appartamenti diffusi in città.
Quando seppi che la comunità avrebbe avuto come nome Emmaus, fui molto contenta. Mi vennero in mente i discepoli che nel racconto evangelico incontrarono lo sconosciuto poi rivelatosi Gesù. Per loro fu un incontro sorprendente e rivelatore. A tavola quegli uomini riconobbero il Messia nel suo spezzare il pane, gesto che rimanda alla convivialità e al condividere.
A tutti noi piaceva, inoltre, l’idea di trovare un nome che unisse il lavoro sociale al valore dell’accoglienza. Unendo queste due dimensioni venne fuori “Progetto Emmaus”.
Maria Teresa Toso, Bianco