Più di vent’anni sono trascorsi. Col tempo, si sa, i ricordi si trasformano in sogni e non riesci più distinguere la realtà vissuta da quella sognata.
Ricordo un gruppo di persone molto giovani e molto entusiaste. La vitalità pervadeva ogni azione: dal cucinare una pasta al pulire le camere, dal contare le gocce nel bicchierino al parlare fino a notte fonda.
Forse per contagio, anche gli ospiti li ricordo scoppiettanti di energia: arti amputati perché non sentiti come propri, eccessi verbali, fughe nella vita da barbone, rientri a notte fonda, occhi iniettati di alcool e di rabbia, amori e matrimoni, la voglia irrefrenabile di sesso da chi non te lo aspettavi proprio, tentativi di morire e morti involontarie, giganti dal cuore di bambino, filosofi eruditi ma refrattari al sapone. Tanta, tantissima vita fluiva in quel mondo che si era creato.
La follia dov’era? La ricordo ovunque, tra di noi e dentro di noi: nei discorsi apparentemente privi di senso che accompagnavano le tisane sul divano prima di dormire, nelle proposte che sgorgavano prive di prudenza in ogni riunione tra operatori, nella voglia di ridere che contagiava tutti nei momenti più rilassati, nella gestione di una comunità come fosse una casa, nelle vacanze estive dove non si facevano turni, ma si andava tutti, ma proprio tutti, per dimenticare chi le proprie stranezze e chi la propria normalità.
Provo grande nostalgia per quel tempo vero e coraggioso, in cui toccammo con mano che la follia non può essere controllata, ma va vissuta insieme perché non diventi ancora un muro che divide. Ricordi che diventano sogni. Sogni che ci conservano umani.
Luciano Fico
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