Io e il Gian ce ne stiamo stravaccati sui divani della sala a scambiarci le ultime ciance prima di andare a dormire. Lui ha la fronte imperlata di sudore. Le finestre sono spalancate ma l’afa albese di fine luglio non vuole saperne di allentare la presa. La mezzanotte è passata da poco e ci godiamo il silenzio della comunità addormentata, sperando nell’improbabile arrivo di una qualche forma di frescura.
“Buonasera”.
La voce che ci coglie di sorpresa è quella di Valentina. É in camicia da notte e ha l’aria un po’ stralunata, ma questo non è strano: Valentina ha sempre l’aria stralunata. Quello che è parecchio strano invece è vedere Valentina in piedi dopo le nove di sera. Esce dalla sua stanza solo se necessario: bagno, lavatrici, pasti e poco altro.
“Scusate il disturbo. Volevo chiedervi gentilmente se fosse possibile avere un po’ di gelato”, dice lei guardando verso un punto imprecisato. Eppure è proprio a noi che sta ponendo la domanda.
Che poi Valentina da quando la conosco segue una dieta piuttosto rigida, auto-imposta in un passato indefinito e che esclude, tra le altre cose, qualsiasi tipo di dolce. Nemmeno quelli legati alle classiche ricorrenze: panettoni, pandori, uova di Pasqua, tiramisù per le feste di compleanno (il forno che abbiamo in comunità nessuno riesce a usarlo quindi facciamo sempre tiramisù, tante varianti che nemmeno il Cucchiaio d’argento riuscirebbe a concepire e comunque niente, lei ha sempre schifato come la peste pure quelli).
“So che a quest’ora il regolamento dice che non si può mangiare nulla. Ma vorrei sapere se fosse possibile, solo per questa volta, fare una piccola… eccezione”.
Io e il Gian balziamo giù dai divani senza pensarci due volte. Le regole sono importanti nell’ordinario, ma di fronte all’eccezionale devono fare un passo indietro.
Quindi con molto buon senso, mentre Valentina si accomoda al tavolo in sala da pranzo, io recupero tre coppette e altrettanti cucchiaini e il Gian va a recuperare il gelato nel freezer. Torna in meno di un minuto con 5 vaschette diverse.
“Oh che meraviglia”, esclama lei di fronte alle vaschette colorate adagiate sul tavolo. Si prende un po’ di tempo per osservarle e leggere con attenzione i gusti. Alla fine si serve un’abbondante porzione di limone con aggiunta di stracciatella.
“Grazie che mi fate compagnia”, dice. “Mi sarei sentita un po’… in imbarazzo, a mangiarlo da sola”.
Così ci ritroviamo noi tre ad assaporare con gesti lenti e misurati questo strano gelato di mezzanotte.
Io e il Gian restiamo muti. Siamo come ipnotizzati in una scena ovattata che sa di sogno, spettatori e protagonisti allo stesso tempo. E come nei sogni temiamo entrambi la parola di troppo che arriverebbe a rompere l’incanto.
Valentina invece parla, parla come a voler recuperare il silenzio di mesi. Fino a quel momento le uniche parole che avevo sentito erano risposte, perlopiù monosillabiche. Dice: “Una volta io e le mie sorelle andavamo a Pietra Ligure in estate…”, “mio padre e mia madre avevano una casa là…”, “cioè non una casa con giardino e tutto. No, un alloggio, anche un po’ piccolo a dire il vero. Però ci andavamo diverse volte all’anno”, “Prima della malattia voglio dire, perché dopo sono cambiate tante cose..”, “C’era una gelateria sul lungomare che faceva dei gelati buonissimi. Si chiamava…. Non mi ricordo come si chiamava.”
“Chissà se c’è ancora” prosegue Valentina sognante, alzando lo sguardo dal tavolo e andando a incrociare un punto indefinito verso il soffitto. “La spiaggia era sassosa, a Pietra Ligure. C’era la sabbia, ma appena scavavi un po’ uscivano le pietre. D’altra parte se l’hanno chiamata Pietra Ligure, un motivo ci sarà…”.
Poi il gelato finisce. Lei si alza piano, si guarda intorno come a controllare che non ci sia nessun altro in quella stanza. Rimane in silenzio, poi dice semplicemente: “Grazie. Vi ringrazio molto. Buonanotte”. E si dilegua verso il corridoio in penombra che porta alla sua camera da letto.
Anche io e Gianluca, dopo aver contemplato l’apparizione che si allontana, ci ritiriamo. Ma con calma, perché nessuno di noi ha molta voglia di andar a dormire.
Il giorno dopo, appena svegli, incrociandoci, chiediamo conferma l’uno all’altro di quanto accaduto nella notte. Abbiamo il dubbio di aver sognato di mangiare un gelato a mezzanotte insieme a Valentina.
P.s.: dopo qualche settimana, in un giorno di riposo, ci sono andato a Pietra Ligure. Mi sono aggirato tra le gelaterie del centro contandone poco meno di una decina. Ho provato ad individuarne una che potesse ricollegarsi a quella notte e ai ricordi di Valentina. Ma laggiù mi sembravano tutte uguali. Così sono andato in quella dove c’era meno gente in fila e ho ordinato una coppetta al gusto limone e stracciatella. L’ho trovata buonissima.
Davide Tedesco