Quando a marzo il cuore del mondo ha subito un sussulto sotto forma di epidemia, la fragilità ha rischiato di spezzarsi. L’emergenza sanitaria ha messo in difficoltà tutti, in particolare chi già vacillava o attraversava periodi delicati. Anziani, bambini, disabili. Persone con ferite, ombre accumulate, strati di ansia e inquietudine, paure e antichi affanni. Alcuni hanno utilizzato la criticità e il lockdown come strumento di riscatto e di risveglio, come occasione per fronteggiare i fantasmi. Altri non hanno potuto farlo perché attorno a sé non disponevano di reti sufficientemente solide o di sufficiente equipaggiamento. Perciò è stato necessario allestire rifugi d’urgenza, capanne in grado di proteggere e riparare.
Uno di questi ripari è stato il progetto “Tornerà il Sereno”, realizzato da Progetto Emmaus con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo (maggior sostenitore) nell’ambito del Bando “Insieme andrà tutto bene”, e sviluppato in partenariato con il Consorzio Socio Assistenziale Alba Langhe e Roero e la Gestione Associata dei Servizi Sociali Ambito di Bra, con la collaborazione del Gruppo Dimar Spa. Un complesso intreccio di azioni sul territorio che ha consentito di evitare i danni maggiori del periodo del lockdown di inizio anno.
“Il lockdown inaspettato ha avuto un effetto di impoverimento su alcune fasce di popolazione, soprattutto sui nostri utenti. Si tratta di situazioni di entrate saltuarie, precarietà, disagio abitativo” ha spiegato Marco Bertoluzzo, direttore del Consorzio socio assistenziale Alba Langhe e Roero. “Prima queste famiglie o individui potevano contare su forme di economia solidale di sussistenza, basate sulle relazioni. Ma queste risorse sono state annullate dall’emergenza sanitaria”.
Rispetto al progetto “Tornerà il sereno”, il Consorzio ha distribuito a decine di famiglie buoni pasto per fronteggiare l’emergenza alimentare durante il periodo del confinamento collettivo. Bertoluzzo spiega come “non si sia trattato di contributi economici, ma di bonus in prevalenza da 25 euro l’uno che hanno consentito alle persone in difficoltà di usufruire di una borsa spesa. Alcuni supermercati hanno contribuito all’iniziativa aggiungendo un valore aggiuntivo alla borsa”. E conclude: “Quest’attività, oltre a rappresentare una fondamentale forma di solidarietà, rispetta la persona senza creare sentimenti di vergogna o inadeguatezza: il buono pasto è ritirabile e spendibile in forma discreta e anonima, quindi non espone a sentimenti difficili persone che già esitano in condizione di difficoltà”. Su queste parole concorda Fabio Smareglia, Dirigente della Gestione Associata dei Servizi Sociali Ambito di Bra, che aggiunge “Il progetto ha permesso di integrare le azioni realizzate a livello comunale per fronteggiare l’emergenza Covid, in ottica di razionalizzazione delle risorse e complementarietà nella risposta ai differenziati bisogni che erano in continua evoluzione”.
Non solo sussidi alimentari, ma anche interventi educativi e di sostegno emotivo, relazionale, sociale. Per Progetto Emmaus racconta Francesca Farinetti, responsabile del Territorio per la zona di Alba: “Nel periodo marzo-giugno abbiamo ripensato come cooperativa gli interventi territoriali rivolti a minori e adulti disabili, in un’ottica di prossimità e vicinanza al beneficiario e al suo nucleo famigliare. Da subito abbiamo sentito come fondamentale per le famiglie il non sentirsi sole e isolate dalla rete di riferimento. In un primo momento abbiamo attivato una serie di interventi a distanza, individuali o di gruppo. A tale scopo gli operatori hanno mantenuto contatti costanti con i servizi sociali e le scuole che hanno in carico i beneficiari in un’ottica di lavoro di rete costante”. Le azioni messe in campo sono state eterogenee: supporto nell’utilizzo della tecnologia allo svolgimento delle lezioni scolastiche da casa, giochi insieme all’operatore attraverso lo schermo del computer, preparazione di ricette di cucina, visite virtuali a musei e città. Quando internet non era disponibile, l’operatore preparava le attività a casa e poi lasciava fuori dalla porta dell’utente, in modo da impegnare le persone in attività costruttive e strutturate. Farinetti: “Attraverso tali contatti settimanali o quotidiani abbiamo potuto notare un forte avvicinamento emotivo da parte dei beneficiari e delle loro famiglie agli operatori. Diverse videochiamate sono state dedicate alle mamme, caregiver principali nella maggior parte delle famiglie. Parallelamente, in casi particolarmente critici di gestione a casa dei beneficiari, sono stati mantenuti o riattivati interventi in presenza”. E infine interventi a distanza, anche per spiegare come comportarsi all’esterno (mascherine, igienizzazione mani, distanza) attraverso modalità differenti e comprensibili per il singolo utente. I beneficiari degli interventi sono stati oltre 100, in prevalenza nella fascia compresa tra i 6 e i 18 anni, con le relative famiglie.
Anche nel Territorio di Bra sono stati molti gli interventi. Spiega Alessandro Milanesio: “Durante il periodo del lockdown abbiamo dovuto rimodulare il nostro modo di agire rispetto alla attività educativa territoriale. Innanzitutto è stato necessario ri-pensare al nostro ruolo educativo. Abbiamo iniziato a lavorare da casa molto timidamente creando, poco alla volta e per tentativi ed errori, un modello di lavoro a distanza che abbiamo perfezionato nei mesi del lockdown. Si è creato un asse che potrebbe essere così schematizzato: in primo luogo l’educatore pensa e prepara attività da svolgere in remoto con i minori e adulti beneficiari degli interventi (laddove è possibile), cercando di virare sempre lo sguardo verso il progetto educativo individualizzato. In secondo luogo il coordinatore si occupa di stabilire un contatto con la famiglia del beneficiario (soprattutto per quanto riguarda famiglie con minori). Le sue funzioni sono tre: l’ascolto attivo e la condivisione degli stati emotivi, l’attiva informativa e l’attività di coaching, mediante la quale il coordinatore supporta il beneficiario nel raggiungimento dei propri obiettivi. Infine il raccordo tra educatore e coordinatore rispetto al lavoro svolto e il lavoro di rete: contatti con medici di base, scuole, Neuropsichiatria Infantile e servizi sociali”.
Gli interventi sono diventati assi di legno di una capanna che non ripara in modo passivo, ma che coinvolge, scalda e attiva immaginazioni, sentimenti altrimenti naufraghi. Il progetto “Tornerà il sereno” ha consentito il transito da una fase di smottamento e una maggiore stabilità, consentendo anche agli operatori un’operazione di uscita dagli schemi abituali e di rottura dell’ordinario.
Matteo Viberti