L’atto sperimentale di dedicare energie congiunte, in cooperativa, alla produzione di un testo scientifico si è rivelato contenitore di emozioni insospettabili. Lo sforzo di scrittura e di tradurre i pensieri in linguaggio “accademico” ha prodotto sensazioni multiple: lo spaesamento generato dal nuovo, la soddisfazione di cucire a più mani una tela la cui immagine non è prevedibile, l’impressione di contribuire a una lotta sociale, e infine l’accettazione reciproca delle differenze di stile, di pensiero, di rappresentazione del reale.
La storia muove i primi passi a fine 2020, quando la casa editrice Franco Angeli lanciava la chiamata per selezionare testi che parlassero disabilità ed esperienze innovative. Un gruppo di colleghi della cooperativa ha deciso di tentare. Obiettivo era raccontare una storia: quella del vino 8 Pari, la bottiglia “sociale” prodotta nel Roero grazie al lavoro della squadra che oggi costituisce la cosiddetta cooperativa di tipo B e per tre giorni a settimana opera sul progetto. E’ stato perciò proposto a Franco Angeli un articolo dal titolo “Un processo di produzione vitivinicola come rottura della prassi normalizzante”.
Recitava parte dell’articolo: “Il coinvolgimento attivo in tutte le fasi di produzione (lavoro agricolo, lavoro in cantina, promozione del prodotto in fiere ed eventi, commercializzazione del prodotto) permette alla persona inserita all’interno del progetto di percepirsi come parte di una squadra di lavoro e di assistere attivamente all’intero processo: dalla cura della barbatella alla vendita della bottiglia. Questo aspetto è di primaria importanza nel tentativo di incidere sui processi identitari e di acquisizione di un ruolo lavorativo e sociale spesso negato a queste persone”.
Il lavoro inviato alla casa editrice poggiava le basi su una critica fondamentale a un tempo storico marginalizzante e stigmatizzante verso la disabilità: “Il problema di partenza è la mancanza di contesti territoriali in cui le persone con fragilità possano sperimentarsi, a livello lavorativo e relazionale. Un limite percepibile ancora oggi – e quotidianamente – nel lavoro degli operatori sociali, nonostante l’articolo 27 della CRPD (Legge 18/09) affermi chiaramente «il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità”. Tanto che In Italia il 30% dei cittadini con limitazioni funzionali è a rischio povertà ed esclusione sociale (a fronte del 25,5% delle persone senza limitazioni).
L’articolo rifletteva dunque su come sembri sempre più importante e urgente l’avvio, come ammoniva Stefano Rodotà, di “una battaglia culturale, una pratica educativa, una tensione morale”, per la realizzazione di una società realmente inclusiva, in cui sia riconosciuto il valore del contributo di ciascuno e in cui siano garantiti il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti i cittadini”.
I componenti del team di 8Pari hanno contribuito in prima persona al processo di scrittura. Mattia ad esempio condivideva emozioni sentite durante un evento fieristico: “Avevamo venduto molte bottiglie. L’orgoglio di vendere ti faceva sentire importante, diventava una bella spinta per la cooperativa. In queste occasioni si attira sempre tanta gente, anche proveniente da fuori Italia. È qualcosa che ti fa sentire parte di una grande squadra. Questa sensazione la porti poi anche in altri gruppi, diventa parte di te”. La percezione di poter incidere, di determinare un effetto sul reale e modificare l’ambiente circostante restituiscono protagonismo e sottraggono parti di Sé ad una sensazione di invisibilità sociale. Alla percezione di Sé sembra legarsi un senso di appartenenza e solidarietà che diventano fattori protettivi. Prosegue Mattia: “L’importanza dello stare all’interno del gruppo di amici, di lavoro, è fondamentale. Quanto fa stare bene. In gruppo poi uno si sforza sempre di tenerlo unito quel gruppo, di farlo crescere, se non cresce il leader non crescono gli altri”. Questi “ingredienti relazionali” mutano di conseguenza il ruolo sociale e famigliare della persona, incidendo sull’auto-rappresentazione e la percezione del proprio status. Mattia spiega come in famiglia «sono cresciuto, la mia posizione è cambiata: oggi vengo trattato più da adulto”.
La scrittura dell’articolo per Franco Angeli speriamo possa rappresentare il primo passo di un nuovo percorso, che possa “creare pensiero” e attribuire un valore supplementare ai gesti che ogni giorno i colleghi della cooperativa eseguono nel tentativo di stare affianco alla sofferenza e di leggerla in un modo nuovo, trasformandola in qualcosa di più pensabile e maneggiabile. Peraltro, l’esito della candidatura alla chiamata di Franco Angeli è appena arrivato: dopo varie fasi valutative da parte del comitato scientifico della rivista Welfare&Ergonomia (il processo è durato alcuni mesi) il lavoro è stato accettato e verrà pubblicato prossimamente. Ma si tratta di un dettaglio di poca rilevanza. Il risultato è superfluo. Non era l’immagine finale che sarebbe apparsa sulla tela a contare, ma l’atto del cucire.
Progetto Emmaus