La pandemia ha imposto un rovesciamento in ognuno, capovolgendo gli scenari abituali e interiori, costringendo emozioni e relazioni a radicali ripensamenti. Ha sollevato ombre e frammenti trascurati, polvere accantonata e pensieri non pensati. Ha provocato sofferenza, ma anche possibilità di integrazione e di inclusione. Nel tentativo di cogliere questa opportunità evolutiva la cooperativa Progetto Emmaus ha realizzato alcune iniziative formative, nell’ambito del progetto “Riattiviamoci: la potenza della rete tra inclusione e benessere”, sostenuto dalla Fondazione CRT.
Il primo elemento puntava alla sensibilizzazione e alla “generazione di pensiero” nella comunità locale. A fine 2021 è stato organizzato il convegno dal titolo “Riflessioni in cammino”, occasione per recuperare vicinanza in un periodo segnato dalle restrizioni pandemiche: all’incontro erano presenti molte associazioni e cooperative del territorio. La relatrice principale della giornata era la psico-sociologa dello studio Aps di Milano Franca Olivetti Manoukian. Rispetto alle sofferenze del periodo Covid e alle correlate opportunità rigenerative del tessuto sociale, Manoukian ha spiegato: “Mi piace parlare di evoluzioni più che di trasformazioni. Penso che le evoluzioni saranno possibili solo nei contesti locali, su piccola scala. Qui troviamo tendenze e spinte con caratteristiche costruttive, che rischiano di smarrirsi se applicate ad una dimensione più ampia. Le esperienze locali sono capaci di arricchirsi reciprocamente e allo stesso tempo di radicarsi con forza: la cosa difficile è trovare strumenti di connessione tra queste territorialità, unirle in un’immagine più ampia”.
Un secondo percorso attivato all’interno di “Riattiviamoci” è stato la formazione/supervisione organizzata nell’Area disabilità di cooperativa, trasversale per tutti gli operatori delle comunità Casa Maria Rosa e Aurora e dei gruppi appartamento La Rocca, Tettiblu, Sottosopra, Pepenero. In totale al percorso hanno partecipato circa 30 operatori. Spiegano le referenti del progetto, Patrizia Bonomi e Marina Galleano: “Il progetto formativo è stato condotto online e guidato dalla dottoressa Francesetti. Gli operatori sono stati suddivisi in due gruppi per permettere a tutti di partecipare. Il lavoro di ogni equipe educativa è un lavoro a contatto con le complessità relazionali non riferibili solo agli utenti seguiti direttamente, ma anche con la rete familiare e sociale dell’utente in carico all’equipe educativa. Perciò nella formazione ci siamo chiesti: come comunicare con i famigliari dei pazienti? Come sostenere le svalutazioni e i conflitti? Come leggere le relazioni con i familiari per migliorare le qualità relazionali con i pazienti? Come riuscire a considerare la famiglia come parte integrante del percorso di cura e assistenza della persona? In linea con un lavoro teorico ed esperienziale, radicato nelle cornici della teoria della comunicazione, della teoria dei sistemi complessi, della psicoterapia della gestalt e degli studi più recenti delle dinamiche relazionali complesse all’interno delle strutture comunitarie, abbiamo condiviso una cornice teorica all’interno della quale costruire una esperienza condivisa di lettura e lavoro con le famiglie degli ospiti della comunità – partendo dal confronto in gruppo e con il formatore di situazioni cliniche specifiche”.
Proseguono le operatrici: “Per quanto riguarda il periodo pandemico in senso più ampio, la criticità più grande affrontata è stata la lontananza dai propri cari (il non poter rientrare a casa o fare una passeggiata con il proprio famigliare) e la perdita delle attività/lavori, soprattutto nel primo lockdown. Sono mancati i punti di riferimento. Questo ha causato scompensi emotivi importanti. La sfida maggiore è stata quella di ricercare metodi di comunicazione e contatto diversi con i famigliari, sperimentando e creando attività nuove per evitare l’appiattimento emotivo e del fare quotidiano”.
Infine un aneddoto: “Come esempio dell’efficacia dei percorsi avviati, viene in mente una storia. Un utente ha interrotto i rapporti con la famiglia da anni e all’ingresso in struttura pareva non ci fossero familiari di riferimento. Ricostruendo la sua storia, emerge il desiderio di risentire la mamma. O. ha avuto un’infanzia difficile e il ricordo più vivo è l’abbandono, le tante famiglie a cui è stata affidata, i fratelli dati in adozione, e via dicendo. Con l’aiuto dell’operatore contatta una sorella e successivamente la mamma; si organizzano degli incontri a casa della mamma. La mediazione dell’operatore è fondamentale per attivare una comunicazione positiva tra le parti in cui il tema non sia solo il passato, gli errori dell’uno dell’altro e le rispettive sofferenze”.
Sempre all’interno del progetto Riattiviamoci, è infine stato avviato un percorso psicologico con ospiti della Comunità Casa Maria Rosa. Sia quelli formativi che quelli clinici rappresentano percorsi il cui frutto non è forse immediatamente visibile, ma è capace di generare vita. Il tentativo è quello di attraversare la sofferenza senza negarla, di cucire frammenti, di stabilire contatto con le interiorità e con le relazioni in modo che i periodi di ombra possano istituirsi come momenti di cambiamento.
Progetto Emmaus