Isabel Lo coco ha 25 anni e ha deciso di impegnarsi nelle strutture di Progetto Emmaus. Oggi dopo i primi mesi operativi racconta la propria esperienza di servizio civile. Un periodo a contatto con gli ospiti delle nostre strutture nell’area della disabilità o della salute mentale, per crescere e apprendere il lavoro della cura quotidiana, dell’incontro e della crescita umana.
Quale la tua storia, il tuo percorso formativo e i tuoi sogni per il futuro?
“Nel 2019 finivo le superiori nel liceo artistico Pinot Gallizio per poi trasferirmi a Roma e intraprendere gli studi sul mondo del cinema e della televisione. Non conclusi la scuola perché mi trovai a lavorare in una piccola casa editrice che si occupava di libri e riviste sulla fotografia e sul cinema. Nonostante questo percorso di vita, ho sempre coltivato il mio lato più umano ed empatico attraverso l’assistenza di minori e di persone con disabilità. Terminata l’esperienza a Roma decisi di rientrare nel posto in cui sono nata per approfondire questa mia seconda vocazione e pensai che il servizio civile potesse essere il modo migliore per inserirsi gradualmente in questo mondo. Da maggio 2025 lavoro nella comunità per persone con disabilità Casa Maria Rosa di cooperativa Progetto Emmaus. Nel futuro vorrei riprendere gli studi per aumentare il mio bagaglio culturale rispetto alla tematica del sociale, dell’educativa e dell’assistenza in tutte le sue forme”.
Perché hai scelto il percorso del servizio civile, e in particolare Progetto Emmaus?
“Ho scelto la cooperativa perché nel tempo ho avuto il piacere di conoscere persone che già lavoravano al suo interno. Esperienze che lasciavano trasparire l’essenza del progetto e l’atmosfera all’interno di quell’ambiente lavorativo. Storie che hanno stimolato la curiosità, e ho colto l’occasione di farne esperienza anch’io dall’interno attraverso il servizio civile. Il mio ruolo all’interno della comunità è ibrido, passo dall’aiutare in cucina e nelle attività domestiche fino ad arrivare ai momenti più educativi nel rapporto con gli ospiti”.
Ci puoi raccontare alcuni momenti?
“Un momento significativo è stato il primo soggiorno. Ho avuto modo di entrare a contatto con una nuova serie di emozioni – come la gioia di essere in un posto nuovo e poter condividere in gruppo, assieme anche agli operatori, la semplicità di una passeggiata e il piacere di assaporare un gelato per merenda avendo come scenario le montagne. Allo stesso tempo ho affrontato momenti più complessi, soprattutto in principio, mentre imparavo a relazionarmi con ospiti e operatori in modo unico e speciale, tenendo però sempre a mente il mio ruolo educativo”.
Quale a tuo avviso il rapporto dei giovani di oggi col mondo del sociale e con la fragilità?
“Al giorno d’oggi penso che nelle nuove generazioni esista una sensibilità maggiore nei confronti dei fragili, una volontà nel voler comprendere e nel voler imparare ad entrare in dialogo nel modo più adatto. Ciò comporta maggior inclusione e maggior sforzo di incontro. Al contempo credo non esista un’adeguata conoscenza dei servizi presenti sul territorio, cosa che sarebbe molto utile per comprendere più a fondo il ruolo delle varie strutture nella vita delle persone più fragili”.