Questo è un diario sul lavoro di assistenza notturna presso un istituto religioso svolto dalle mie colleghe Oss.
Un giorno riflettevo sulla loro possibile e comprensibile frustrazione e su quanto sia importante arrivare a riconoscerla per “non fare danni” seppur lavorando “solo” di notte.
Alcuni fatti di cronaca sulle violenze ai disabili indifesi mi hanno lasciata sconcertata. Non sono riuscita a immedesimarmi nell’animo aggressivo che ha mosso quelle mani con quella ferocia. Perciò ne è uscito un racconto positivo (NdA).
L’appuntamento è alla solita ora: un quarto alle 22. Lì dalla porticina. No, non quella principale, quella più piccina, più discreta. Il viso che incontro è quello di Lea, la mia collega che, come me, è sveglia da poco più di un’ora perché, quelle come noi il sonno lo rubano in modo quasi famelico al giorno. La notte è lunga.
Il viso che apre quella porticina è incorniciato da un velo bianco latte e porta i segni di una vita dedicata al servizio. Le rughe su quel volto disegnano stanchezza e insieme una rasserenante espressione di appagamento. “Buonasera suor Clara”. Sorride gentile quel viso e nella penombra prende corpo una figura curva e minuta che ci fa strada per i corridoi in cui il silenzio è rotto di tanto in tanto dal tintinnare del rosario che tiene stretto tra le mani.
Sento il profumo del legno pulito da poco. Nell’oscurità gli odori si amplificano e il ritrovare le stesse essenze negli stessi posti talvolta mi rassicura, talvolta mi angoscia.
Scambiamo qualche parola tra noi mentre indossiamo la divisa. La mia, al solito un poco stropicciata e con un paio di bottoni in meno: dabbenaggine o moto inconscio di ribellione alle chiusure? Questo non lo ho ancora capito. E forse è un bene per me non approfondire oltre.
Dunque, infilo le zoccole in gomma e pronta per la consegna.
D’accordo. Tutto chiaro: paracetamolo da 1000 mg a Simone che ha qualche linea di febbre , doppio cuscino a Francesco che non mi respira bene da ieri, supposte lassative alle camere una e due, mmh, che piacere domattina, spero che la Vale e la Nadia si “esprimano” dopo le 7, quando arriva il cambio del mattino.
D’accordo, vediamo, camomilla per tutti ma non zuccherata per le diabetiche e per Angelo… quanto pesava stamattina? Oddio, non ci credo. C’è qualcosa che non va nella sua dieta, sicuro.
E per finire, doppia striscia nel pannolone di Chiara che se no dopo due ore è fradicia fino alla schiena e dorme male; ehi, ricordati di accenderle il materasso antidecubito.
Ah, senti, non dimenticare le copertine, né troppo giù, se no sentono freddo, né troppo su, perché ad alcuni danno noia e non se le riescono a spostare da soli e poi Vilma le succhia come fossero un ciucciotto. Ma ora iniziamo con le pulizie: lava, spolvera, piega, disinfetta, sgrassa, passa e ripassa!
Ci facciamo un caffè? Direi di sì. Cinque minuti di tregua e poi il secondo giro di cambi dalle piccole anime. Non ti capita mai di sognare ad occhi aperti? A me un quantitativo di volte… e poi qui, in questo silenzio, in questa pace. L’oscurità confonde i sensi e la ragione, e tutto ciò che nel quotidiano è certo, chiaro, trasparente, nel buio della notte non lo riconosci più. Perché ho scelto questo lavoro? E poi, l’ho scelto o non avevo altra scelta? Il lavoro di assistenza notturna.
Nella notte, camminando su e giù per i corridoi e nei reparti di questo grande istituto, prende animo un lungo dialogo con se stessi in cui si cercano le risposte alle tante domande senza risposta e si cerca di comprendere le ragioni più vere della propria esistenza e, appunto, delle proprie scelte.
In questo luogo dove spirito e corpo, fatica e speranza, religione e professione s’incontrano, le ombre che abbiamo dentro di noi si confondono con quelle che ci appaiono nei letti e diventano immagini oscure e allo stesso tempo famigliari, lembi di carne attaccati a delle ossa fragilissime o paffuti esserini raggomitolati teneramente, corpi dormienti e deformi, vite calciate dal grembo materno o affidate con premura e angoscia per il futuro a chi della cura ne ha fatto la propria missione.
“Ehi, ciao, sono io, stai bene? Sì, ti porto subito il pappagallo. Vuoi bere un goccino? Come dici? La schiena ti fa male? Aspetta che provo a tirarti un pochino più su, punta i piedi al materasso, così, bravissimo: uno, due eee… tre. Ecco fatto. Ora va meglio? Dormi bene, sono nei paraggi se hai bisogno.”
Sì dormi, dormi sereno adesso. Vorrei dirti tante cose sai? Avrei idee da proporti, da proporre a tutti. Quanto mi piacerebbe ascoltarti parlare potendo vedere che luce ha il tuo volto illuminato dal sole. Quanto mi piacerebbe poter fare un’uscita in collina a mangiare un gelato mega con tutti voi! Oppure scorrazzare su e giù per via Maestra e fare a gara con i passeggini? Beh, non esageriamo, dai. E poi, no, cosa vaneggio?, non è possibile. Quando tu domattina, col sorriso furbetto addenterai il tuo panino morbido alla marmellata, io indosserò il pigiama e m’infilerò sotto le coperte al calduccio. Il mio mestiere è vegliarti la notte.
Forse un giorno mi stuferò e me ne andrò di qua, sai? Andrò a cercare un posto dove potrò realizzare me stessa, la mia professione. O forse mi stuferò al punto da non volerne più sentire parlare di questo lavoro, mai più!
Ma adesso resto qui con te. Innanzitutto perché l’affitto non si distrae nemmeno per un mese e arriva immancabile.
Ma soprattutto resto qui perché quando appoggio la mia lucetta sul comodino e i tuoi occhi si aprono a puntare i miei, mi fai quella solita inchiodante e dannatamente dolce domanda: quando ci sei di nuovo?
Daniela Pennacchia
Che bello sentire queste belle cose in prima mattina da cui traspare rispetto, dolcezza, passione,.. fa iniziare bene la giornata.
GRAZIE
Toccante e “VERO” come lo sono i nostri giorni e le nostre notti che scorrono in silenzio giorno dopo giorno nelle diverse realtà della nostra Grande Cooperativa!!!!!
Auguri a tutti..per un Sereno Natale e per poter continuare a vivere il nostro lavoro con passione e umanità!!