Al sondaggio per cambiare nome hanno risposto 240 persone e uno studio universitario sta valutando l’impatto sociale del vino sulla comunità locale
Il Vino 8mani realizzato dalla Cooperativa Progetto Emmaus è nato nel 2015. Dentro la bottiglia è racchiuso un sogno di inclusione e riscatto sociale. Un percorso capace di rompere i pregiudizi sulle persone con disabilità e sul mondo del lavoro con lo scopo di immaginare, spiega il referente del progetto Alessandro Milanesio, “la produttività da parte di chi per definizione produttivo non è”. Nel concreto 8mani da cinque anni viene realizzato con gesti, sudore e fatica di persone svantaggiate e utenti della cooperativa. Tutto in collaborazione con le cantine Cascina Fornace, Alberto Oggero, Valfaccenda e Matteo Correggia.
Grazie al progetto “L’interdipendenza: l’autonomia che si fa sistema” co-finanziato con il POR (FSE) 2014-2020 e realizzato nell’ambito della Strategia di Innovazione Sociale della Regione Piemonte WE.CA.RE. (Welfare Cantiere Regionale) con cui abbiamo l’obiettivo di produrre un vino che sia prima di tutto bene relazionale, la sperimentazione dei primi anni sta prendendo una dimensione sempre più definita e strutturata.
Un percorso in costante sviluppo, ma nelle ultime settimane qualcosa è cambiato. Milanesio: “Non essendo in Italia il solo 8mani in commercio e avendo riscontrato omonimie, per non fare ombra ad altre aziende abbiamo deciso di rinascere con un nuovo nome. Una scelta finalizzata a far crescere il progetto in maniera autonoma, senza vincoli e sfruttando appieno le recenti opportunità: abbiamo infatti ottenuto la licenza per commercializzare il vino e definito con i partner incrementi graduali nella produzione”. Il vino dunque cambierà nome, garantendo che l’essenza del progetto rimanga la stessa.
La nuova identità del prodotto non è stata stabilita alla scrivania di un ufficio né da un ristretto numero di persone. E’ diventata anch’essa il risultato di un’azione collettiva, dal basso, da parte di tutti gli attori che in questi anni sono entrati in contatto con la speciale bottiglia. Per realizzare questo ideale partecipativo la cooperativa ha lanciato un questionario che in pochi giorni ha raccolto oltre 240 contributi. La maggioranza ha deciso che il nuovo nome del vino sarà “8pari”.
Il “vino sociale” ha avuto dunque l’effetto di coinvolgere la comunità, nell’ottica di impatto sociale che i progetti della cooperativa intendono promuovere. Elisa Cagnazzo, vicepresidente di Progetto Emmaus, spiega: “Il nostro vino è oggetto di uno dei project work all’interno del corso di “Valutazione di impatto sociale” organizzato dalla Fondazione Cottino Social Impact in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino e la Camera di Commercio. Lo studio sul suo impatto è in corso di realizzazione. Intanto attraverso il questionario utilizzato per la ricerca del nuovo nome abbiamo sondato le aspettative di tutti gli attori coinvolti, vicini e lontani. Grazie all’indagine abbiamo scoperto che gli stakeholder credono molto nel progetto, in particolare nella sua capacità di generare inclusione. Le persone si sono dimostrate ben disposte a promuovere in prima persona l’iniziativa non solo per la validità del prodotto, ma anche per il suo valore generativo di emancipazione. Le attività promozionali potrebbero avvenire soprattutto tra i locali del territorio, oppure attraverso i social media o l’organizzazione di eventi”.
Infine sono state indagate le aspettative “estetiche” riguardo alla bottiglia di vino: da parte di chi ha risposto al questionario è emerso il desiderio di realizzare la nuova etichetta attraverso un percorso creativo e inclusivo – ad esempio utilizzando l’arteterapia in una comunità alloggio per la disabilità come avvenuto per il precedente 8mani – oppure attraverso il lancio di un concorso fotografico.
Insomma: il vino diventa atto poetico collettivo, elemento di benessere per la comunità, ed è la stessa comunità a immaginarlo, allestirlo e migliorarlo, in un circolo virtuoso di tipo solidale e creativo. Conclude Antonio Murtas, il referente del progetto che ogni settimana si reca nelle vigne e in cantina con i ragazzi: “L’idea che un prodotto nobile come il vino possa essere prodotto da chi, per definizione, produttivo non lo è, continua a rappresentare ancora oggi la nostra sfida. Essere operatori sociali ci suggerisce di cogliere questo momento di crisi generale per guardare al futuro: attivare energie nuove e incanalarle in un processo nuovo, generativo e di rinascita”.
Matteo Viberti