Se penso ai miei 25 anni in cooperativa Progetto Emmaus scorrono nella mente mille volti: ospiti, colleghi, assistenti sociali, psichiatri, formatori, tirocinanti… Ognuno ha contribuito ad arricchirmi come professionista e soprattutto come persona.
Parole che ho accolto nella sofferenza e nella gioia, che ho scelto per sostenere e stimolare gli ospiti, parole condivise con colleghi e professionisti.
Fare l’infermiera in una cooperativa sociale è molto complesso. Per usare un termine moderno, devi essere “multitasking”: dalle terapie da somministrare alla parte educativa con l’ospite, fino ai colloqui con familiari e servizio inviante, la gestione della quotidianità di una casa e molto altro. Bisogna trovare mille modi per stare nella relazione anche ingegnandoti in setting non proprio “normali”… facendo le unghie o i capelli, una spesa o cucinare insieme, una passeggiata in centro, una camminata in montagna riordinando stanza e armadio.
Questa è la parte bella del mio lavoro, nulla di routinario, nulla di certo. Ogni giorno in balia della malattia, affrontando diverse problematiche insieme… fino a diventare anche tu un po’ schizofrenica perché in un turno ascolti i deliri di un’ospite, poi calmi un altro in fase maniacale, poi hai la depressa, l’iperattivo, chi non vorrebbe più fare nulla, chi si entusiasma per ogni cosa, chi si lamenta di ogni cosa, chi si accontenta di tutto, la rabbia, l’angoscia, la gioia… tutto nello stesso turno.
La fatica è ripagata dall’attaccamento che, dopo anni, gli ospiti dimessi ti dimostrano. Si ricordano di te: volti e parole rimaste nel cuore, ricordi divertenti soprattutto nei soggiorni e nelle gite… non mi risparmiavo neppure a fare il carpione per il primo pranzo in vacanza!
Grazie a chiunque abbia camminato con me in questi anni.
Nadia Pelassa