La lotta per i diritti per una maggiore uguaglianza sociale e un’etica di cura della persona non si gioca soltanto nella relazione diretta o nella quotidianità, ma anche su livelli istituzionali. E’ qui che il pensiero “nuovo” e giovane deve trovare spazio, per evitare che l’abitudine o l’ortodossia prendano il sopravvento nelle strutture organizzative. Questo è un diario di bordo che traccia itinerari tra Alba, Torino e Roma, che unisce voci propositive e voci critiche, e che si interrogano su una domanda fondamentale: qual è il ruolo delle nuove generazioni nel mondo cooperativo?
Tutto inizia a fine febbraio, quando 11 giovani appartenenti a varie cooperative del Piemonte vengono invitati alla sede di Confcooperative a Torino. Racconta Giulia Rosso, operatrice di Progetto Emmaus: “Quella mattina ci conosciamo e ci viene comunicata la possibilità di organizzare l’assemblea di Confcooperative Federsolidarietà Piemonte a Grinzane Cavour per la nomina del presidente”. Partono i lavori, si allestisce l’incontro. L’impegno prosegue a giugno con l’appuntamento a Roma per l’assemblea nazionale di Confcooperative dal titolo “Su la Testa!”: due giorni di interventi da parte di interventi istituzionali e dibattito nei gruppi di lavoro. Uno dei punti cardine lo porta Stefano Granata (presidente di Confcooperative Federsolidarietà): l’importanza di dare il giusto spazio ai giovani all’interno delle cooperative vedendoli come risorse fondamentali per la crescita del settore e della sua filosofia.
Prosegue Giulia: “Ora passiamo alla parte più interessante: il ritorno da Roma in treno e i giorni seguenti. Il gruppo Whatsapp di giovani cooperatori inizia una condivisione libera e intensa di pensieri. Di domande creative: “Perché non iniziamo a contaminarci?”, “perché non creiamo una mailing list di giovani all’interno di ogni coop per rendere tutti partecipi?”, “perché alle prossime giornate formative non diamo la possibilità anche ad altri all’interno delle mailing list di partecipare?”, e infine: “ci invitate ad un pranzo in struttura? Noi potremmo invitarvi ad alcune giornate di cooperativa”. Scambio di competenze, esperienze, punti di vista. Un baratto di idee che vogliono funzionare da trampolino per un futuro differente.
Simone Pisistrato, giovane cooperatore, dice: “Cosa mi aspetto dopo questa esperienza? Visitare le cooperative dove prestano servizio i colleghi per poter conoscere meglio i loro mondi e soprattutto raccogliere i pensieri delle persone delle quali si occupano. Non si sa mai che possa nascere qualche collaborazione lavorativa e di aiuto reciproco. Mi aspetto anche un maggior coinvolgimento decisionale dei giovani all’interno del contesto lavorativo. Il tutto servendosi delle idee frizzanti o nuove incanalate dall’ esperienza e competenza dei colleghi meno giovani.”
Giulia Rosso conclude: “Ho pensato che questo flusso di idee fosse frutto della possibilità che ci è stata fornita, ovvero quella di mobilitare una partecipazione attiva. L’interesse e la voglia di imparare, la possibilità di modificare, migliorarsi, di portare il proprio contributo c’è da parte di molti all’interno delle nostre piccole realtà e questo è uno spazio. Non l’unico. Intanto il nostro gruppo continuerà ad incontrarsi per lavorare su quanto raccolto dai vari presidenti di cooperative in Piemonte. Parleremo anche di come organizzare queste contaminazioni tra piccole realtà. Un modo per portare nel quotidiano questi ricchi scambi e non spegnere il fuoco vivo della collaborazione e dello scambio”.
Federico Aimar, un altro giovane cooperatore, aggiunge: “La trasferta a Roma? Credo sia stata un’esperienza importante perché ha permesso di mettersi in gioco e di sperimentare una realtà abbastanza distante dalla “concretezza” dei servizi in cui siamo occupati. Dimostrazione che bisogna davvero lavorare su tanti fronti anche diversi tra loro. Ho percepito anche la differenza tra una Federsolidarietà Piemonte più pronta a dare spazio a nuove e giovani idee rispetto un consiglio nazionale che ha messo in agenda delle tematiche ma bisogna vedere come e quanta volontà ci sia nel svilupparle”. Per concludere: “Credo che il lavoro da fare sia veramente tanto e aggiungo una nota critica/realistica che nasce da alcune esperienze di non più giovane (alla veneranda età dei 33) e da una mia personale difficoltà con certi “alti” ambienti carichi di parole e di riti: fare attenzione che “il dare spazio a giovani” non sia solo una leva politico/economica per dimostrare che vengono inclusi quando poi nella realtà la loro voce non viene ascoltata. Ho visto persone veramente motivate in questi giorni sulla questione. Altre invece mi hanno lasciato qualche dubbio in più”.
Progetto Emmaus