“Se dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, vi direi: siate una famiglia”. La frase appariva sullo schermo della sala di Villa Moffa, a Bra, a inizio settembre. Qui si svolgeva la Giornata di cooperativa, momento in cui Progetto Emmaus ha voluto riflettere sulla propria identità, sul senso di appartenenza e su cosa significhi “lavorare in modo cooperativo” in un tempo storico in veloce trasformazione, un cui la competizione tra realtà aumenta e i diritti delle persone con fragilità sono sovente trascurati o calpestati.
Sul palco dei relatori è salita Daniela Ortisi, della cooperativa EsserCi di Torino. Ha spiegato: “Siamo abituati a fare, ma se non iniziamo a pensare il rischio è grande. Mi piace immaginare la cooperativa come un treno in una stazione. Il treno è sempre in movimento, si può prendere o lasciare andare, ma è anche in una stazione, in mezzo ad altri che vanno e vengono ed è in questa relazione che si realizza la sua essenza”. Ortisi ha aggiunto che “è necessario per il mondo della cooperazione ascoltare le esigenze dei territori. Il mondo si muove verso la globalizzazione, anche noi negli scorsi anni abbiamo seguito questa linea ma talvolta abbiamo smarrito il contatto col territorio. Eppure, sono i legami e le micro-relazioni a determinare lo scenario, a influire su di esso in maniera sostanziale”. Rispetto agli anni iniziali del mondo cooperativo, oggi siamo chiamati a una nuova presa di consapevolezza: non siamo diversi dagli altri. “Siamo tutti sulla stessa barca, i problemi di salute e quelli ambientali, quelli economici e quelli sociali sono comuni a tutte le persone, a tutti i settori. Dobbiamo imparare a stare nei territorio non per differenza, ma con la consapevolezza di ciò che ci accomuna”. Ortisi conclude osservando come “il lavoro che abbiamo scelto di fare deve essere qualcosa che ci nutre e non che eseguiamo con spirito di sacrificio. L’innamoramento restituisce la dimensione dello scambio, la sensazione di star facendo qualcosa perché lo sentiamo e non perché è imposto dall’alto. Dobbiamo funzionare come enzimi che attivano un processo e continuano a cambiare, ad accompagnare le trasformazioni del mondo. Non dobbiamo stare soltanto vicino agli “ultimi”, ma agire sull’intera comunità”.
Davide Gioda lavora nella cooperativa La Strada di Asti. Anche lui è salito sul palcoscenico, descrivendo la cooperativa come “una cassetta degli attrezzi” e raccontando l’esperienza di agricoltura sociale nel carcere come esempio di lavoro a contatto con le istituzioni. Un detenuto gli confidava: “Quando sono qui, tra queste piante, mi dimentico di essere in prigione”.
Per Gioda le cooperative oggi devono “tornare sulla strada, aiutare il settore pubblico a riavvicinarsi al territorio e iniziare a dialogare con esso. Oggi grazie al Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e ad altri mutamenti storici abbiamo la possibilità di sederci al tavolo, in riunioni e assemblee, con i funzionari e operatori del pubblico che hanno voglia e bisogno di mettersi in discussione. Serve smettere di ragionare per compartimenti stagni e iniziare a lavorare davvero insieme. Queste circostanze ci spingono ad assumere il ruolo di sentinella, di agenti attivi sul territorio e non più soltanto di operatori che eseguono un compito o che, una volta finito il turno, spengono il cellulare e se ne vanno a casa”. E concludeva: “Abbiamo sudato la posizione che oggi ricopriamo, siamo diventati organizzazioni complesse, formate, professionalizzate. Dobbiamo però imparare a comunicare ciò che facciamo, altrimenti sottraiamo immenso valore al nostro lavoro. Senza scordare che l’obiettivo finale è stare di fianco alle persone in difficoltà. Dobbiamo esercitare un ascolto ostinato, allenandoci a questa pratica, perché è solo così che sapremo realmente incidere e portare cambiamento”.
Alberto Bianco, presidente di Progetto Emmaus, ha aggiunto che “le giornate cooperative sono diventate per noi un momento importante di approfondimento e di pensiero, fuori dal frastuono della quotidianità. L’incontro con Daniela Ortisi e Davide Gioda è stato occasione per confrontarsi con due cooperatori che interpretano il loro ruolo in maniera autentica e consapevole, un’occasione per mettere a fuoco al meglio il nostro lavoro e le nostre motivazioni. L’alta partecipazione ci ha restituito la fotografia di una cooperativa giovane, in movimento e alla continua ricerca di sensi e di significati nel lavoro quotidiano”.
La giornata di cooperativa non è una sommatoria di interventi o una vetrina autoreferenziale, ma un incubatore di idee, uno specchio che vuole restituire l’idea di una comunità coesa, capace di avviare processi antitetici ai modelli dominanti, a un ordine storico-sociale sovente polarizzato sui temi del profitto, dell’individualità e della prevaricazione. Ragionare insieme, tessere i fili di un’appartenenza non soffocante ma creativa e vitalizzante, generare pensiero teorico e umano sono gli strumenti di una lotta quotidiana al fianco della fragilità.
Progetto Emmaus